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La cura a domicilio dei pazienti con Covid-19 – Intervista al Dott. Sandullo

La gestione domiciliare del paziente con COVID-19 è un argomento centrale e controverso in questa pandemia. Un breve excursus per inquadrare lo scenario. Il 30 Novembre 2020, in occasione della seconda ondata pandemica, il Ministero della Salute emana la circolare sulla “Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2”, nella quale viene esplicitato come comportarsi per monitorare e trattare i pazienti con forme lievi (asintomatici o paucisintomatici), evitando così l’evolvere della malattia, l’ospedalizzazione e la pressione sulle strutture di pronto soccorso. Il documento prevede la sorveglianza nei primi giorni di malattia da parte del MMG, coadiuvato da un membro della famiglia (“vigile attesa” sullo sviluppo della sintomatologia, con monitoraggio della saturazione dell’ossigeno e adozione della soglia di sicurezza del 92%) e riporta le linee di indirizzo AIFA che raccomandano la somministrazione di Paracetamolo o FANS come farmaci sintomatici e l’uso dell’eparina solo per i pazienti allettati, dando espressa indicazione di “non utilizzare” altri farmaci (antibiotici, idrossiclorochina, antiretrovirali) per assenza di prove di efficacia.
Un gruppo di medici , riuniti in tutta Italia dall’Associazione Terapie domiciliari Covid-19 fondata dall’avvocato Erich Grimaldi, è stato impegnato sin dall’esordio della pandemia nella cura a casa dei malati COVID; lo schema terapeutico adottato, basato sull’ esperienza diretta sul campo, differisce da quello messo a punto e approvato dal Ministero della Salute. L’Associazione ha mosso critiche alle linee guida AIFA che consigliavano la vigile attesa all’esordio dei sintomi, rivendicando il diritto/dovere del medico di impostare le cure precoci a domicilio e di prescrivere i farmaci più opportuni secondo scienza e coscienza, ritenendo l’attesa potenzialmente pregiudizievole per il paziente.
A fronte di una gestione farmacologica della malattia non ammessa dal protocollo nazionale, con conseguente rischio di provvedimenti disciplinari, alcuni medici hanno presentato ricorso al TAR del Lazio che, nella seduta del 4 marzo 2021, decide di sospendere le linee guida del Ministero.
Arriviamo alle ultime settimane: il Senato, lo scorso 8 aprile, approva quasi all’unanimità l’ordine del giorno che prevede l’impegno di implementare le cure domiciliari e di aggiornare, quindi, i protocolli sanitari. Con ordinanza del 23 aprile 2021 il Consiglio di Stato accoglie l’appello del Ministero della Salute e di AIFA, relativamente alla sospensione dell’efficacia del provvedimento del TAR confermando, di fatto, il principio per cui chi contrae il virus debba attenersi ancora alla vigile attesa e al solo uso del paracetamolo. Si dovrà attendere il prossimo 20 luglio, data in cui è previsto presso il TAR il giudizio di merito sulle linee guida. Nel frattempo il Ministero della Salute ha diffuso lo scorso 26 aprile la nuova circolare che aggiorna le linee guida per le cure domiciliari dei pazienti Covid, di fatto sostituendo la circolare del 30 novembre 2020. Abbiamo discusso dell’importanza delle cure domiciliari precoci con Antonino Sandullo, da 37 anni medico di Medicina generale, specialista in Ematologia, il quale ha avuto un’esperienza diretta con il COVID19, nella duplice veste di medico e paziente.

Dott. Sandullo quale criticità ha potuto riscontrare nella sua esperienza diretta come paziente?
Premesso che sono stato curato e accudito con grande competenza , amorevolezza e umanità presso il reparto di malattie infettive dell’ospedale Sant’Elia di Caltanissetta, ho riscontrato, però, delle criticità focalizzate nelpost-COVID. In particolare le strutture ospedaliere dovrebbero puntare maggiore attenzione alla riabilitazione muscolare e respiratoria, indispensabile per tutti i soggetti che, come me, sono stati costretti a un lungo periodo di degenza. Bisognerebbe fare una ricognizione territoriale. In merito a questo, ho fatto un appello all’onorevole Margherita La Rocca Ruvolo, Presidente della Commissione Sanità della Regione Sicilia, chiedendo un Suo intervento per attenzionare l’assistenza ai malati COVID dopo la fase acuta. Perché non inserire un protocollo di riabilitazione polmonare e muscolare di cui i malati fortemente debilitati hanno bisogno? Chi è stato colpito da questa malattia e ha avuto la fortuna di superarla, a differenza di tanti altri più sfortunati che non ce l’hanno fatta, si ritrova da solo ad affrontare il post malattia: spesso sono carenti i controlli programmati, i reparti di pneumologia, i servizi ambulatoriali o dove presenti non sono adeguatamente attrezzati per la gestione della polmonite interstiziale, dopo la fase acuta. Il problema delle spirometrie è atavico nel nostro territorio e si complica adesso con la gestione di questa sconosciuta patologia di cui non si conosce ancora l’evoluzione. Dove fare una spirometria globale? C’è la necessità di un potenziamento dei servizi ambulatoriali dove esistenti e della creazione di reparti di pneumologia per garantire il diritto alla salute ed evitare il ricorso al privato. E ancora, data la condizione di debilitazione, un’attenzione particolare va rivolta all’alimentazione che dovrebbe essere personalizzata sulle esigenze del singolo paziente, tenendo conto del sistema immunitario alterato. A mio avviso è necessario che i decisori politici pensino anche al post COVID e indirizzino parte della spesa sanitaria programmata per la fase acuta alla gestione del dopo malattia da un punto di vista clinico/terapeutico e riabilitativo.”

La sindrome “Long COVID” dovrebbe quindi diventare oggi una priorità per le autorità sanitarie.
Assolutamente! Si dovrebbe intervenire potenziando le strutture territoriali, per poter seguire bene l’evoluzione della drammatica condizione della polmonite interstiziale. Non per tutti un tampone negativo, dopo la fase acuta della malattia, è sinonimo di guarigione. Possono permanere sintomi di varia natura – più o meno debilitanti – che, di volta in volta, possono interessare l’apparato respiratorio, cardiovascolare, muscolo-scheletrico, gastrointestinale, o manifestarsi a livello cognitivo, neurologico, come il cosiddetto “cervello tra le nuvole”. Il ministero della Salute dovrebbe dare dignità alla sindrome Long COVID da un punto di vista medico legale.”

Cosa ne pensa del concetto di vigile attesa?
Vigile attesa” non è abbandonare i pazienti. Non si possono tenere questi pazienti a domicilio basandosi solo sulla pulsossimetria, spesso poco attendibile. Sarebbe importante, seguendo l’esperienza di alcune aziende sanitarie della Toscana, dotare i pazienti a maggior rischio per malattie concomitanti, di un braccialetto che attraverso una “app” rilevi i parametri vitali come saturazione, frequenza cardiaca, febbre e li trasmetta alla centrale operativa del 118, facendo sentire il paziente non “abbandonato” al proprio domicilioma seriamente preso in carico da chi vigila e interviene prontamente e se necessario può ricoverarlo direttamente nel reparto idoneo senza nemmeno intasare il pronto soccorso

Entriamo nel merito della terapia da utilizzare da protocollo nell’ultima circolare del Ministero: l’uso dei Cortisonici non in fase precoce.
Finalmente con la prima circolare del 30 Novembre 2020 il Ministero della Salute ha pubblicato un protocollo terapeutico per i pazienti paucisintomatici a domicilio, per uniformare su tutto il territorio nazionale il comportamento sia dei Medici di famiglia che di quelli USCA. Come ben sappiamo, la malattia è caratterizzata da una fase iniziale epidemica e una seconda fase più acuta, “infiammatoria”. Il cortisone in fase iniziale è giusto non usarlo, lo si prescrive al quarto/quinto giorno se la malattia comincia a degenerare.”

Riguardo invece la terapia degli anticorpi Monoclonali. Cosa ne pensa e come va individuato e gestito il paziente a rischio?
Nella terapia con anticorpi monoclonali un ruolo fondamentale è rivestitodal medico di famiglia e dai medici USCA che devono riuscire a individuare il caso a rischio e intervenire tempestivamente. Gli anticorpi monoclonali si sono rivelati in grado di bloccare l’infezione, soprattutto nella fase iniziale della malattia. Se si perde del tempo non ha più senso utilizzarli. Riducono la carica virale, limitano i sintomi e, nei casi meno complessi, evitano l’ospedalizzazione. Questo nuovo approccio ha consentito di ridurre il numero di pazienti che andavano incontro ad un interessamento polmonare grave che richiedeva la ventilazione polmonare ed una terapia intensiva. Per gestire il paziente a rischio, bisogna innanzitutto individuarlo: adulto, obeso, iperteso, diabetico con presenza di comorbidità sono sicuramente i campanelli di allarme che mi fanno attenzionare il caso.

Ha nominato i medici USCA, possono essere considerati il braccio operativo della medicina generale, nella nostra realtà regionale?
Purtroppo i medici USCA sono spesso sprovvisti di mezzi diagnostici in grado di garantire serenità nella gestione dei paucisintomatici che possono restare tali ma che improvvisamente possono peggiorare e progredire verso la polmonite interstiziale: ciò non è accettabile. È necessario dotarli di un ecografo e di un apparecchio di emogasanalisi portatili, come già accade in molte USCA d’Italia, strumenti utili nella valutazione del paziente a domicilio per decidere il ricovero in caso di comparsa di polmonite.

Come il dott. Sandullo, molti medici hanno sollevato il problema dell’assistenza di tutti i pazienti colpiti da una forma grave di Covid 19, dimessi da un ricovero ospedaliero, giudicati guariti ma in realtà con una condizione di debilitazione residua.
Finalmente sembra che qualcosa si stia muovendo, il Ministro Speranza, nel decreto “Sostegno Bis”, propone uno stanziamento di 50 milioni di euro affinché il Sistema Sanitario Nazionale prenda in carico gratuitamente, con esami diagnostici e terapie, tutti questi pazienti maggiormente colpiti dal virus anche dopo le dimissioni dalla struttura ospedaliera. Uno stanziamento totale che dovrebbe essere ripartito in oltre 24 milioni di euro per il 2021, circa 20 milioni per il 2022 e poco meno di 6 milioni di euro per il 2023. Risorse che serviranno appunto per il “Protocollo sperimentale nazionale di monitoraggio”. Il piano si basa sui dati dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo cui sono circa 164mila i pazienti con gravi forme di Covid-19 guariti e dimessi dagli ospedali. Saranno loro ad essere arruolati nel monitoraggio.

A cura di Rosanna Cammalleri – Servizio Comunicazione CEFPAS

La cura a domicilio dei pazienti con Covid-19 – Intervista al Dott. Sandullo

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