L’importanza dell’audiometria vocale nella gestione dell’ipoacusia e la conoscenza dei meccanismi e i potenziali effetti lesivi della “sordocecità attentiva”: si tratta di un fenomeno in cui, a fronte di una normale capacità uditiva e visiva, trovandosi nella situazione in cui si svolgano più compiti contemporaneamente, la nostra attenzione viene condivisa ma – nello stesso tempo – non riesce a dedicare risorse cognitive sufficienti a decodificare uditivamente e/o visivamente uno stimolo improvviso rispetto al quale diventiamo temporaneamente sordi e/o ciechi.
Sono questi alcuni degli argomenti affrontati da Carla Montuschi, audiometrista presso la Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale degli Infermi di Biella che ha tenuto una lezione all’executive master “Implantologia Cocleare. Moderne prospettive per il sordo profondo”, organizzato dal CEFPAS per aggiornare le conoscenze degli specialisti territoriali del settore nel campo della riabilitazione chirurgica e audioprotesica del sordo e della metodica implantologica.

di Otorinolaringoiatria dell’Ospedale degli Infermi di Biella
“Ringrazio il CEFPAS, il dottor Aldo Messina, tra i responsabili scientifici dell’executive master, e il direttore della Struttura di Otorinolaringoiatria dell’ospedale biellese Carmine Fernando Gervasio, per avermi dato l’opportunità di partecipare a questo interessante percorso formativo. Nel modulo assegnatomi, ho approfondito gli aspetti relativi a un esame che nel contesto della gestione dell’ipoacusia è estremamente importante: l’audiometria vocale”, dice Montuschi che è anche audioprotesista e logopedista.
L’audiometria vocale trae la sua origine in due grandi capitoli dell’evoluzione tecnologica: la possibilità di registrare materiale sonoro grazie all’invenzione del fonografo di Edison (1889) e la creazione di materiale verbale atto a testare l’intelligibilità nel contesto della telefonia da parte dei laboratori della Bell, Campell e Crandall (1910). Questo esame, infatti, consta della verifica di intelligibilità tramite l’ascolto e la ripetizione di materiale parlato preregistrato secondo specifiche regole, bilanciato e somministrato in un ambiente soggetto a precise condizioni di silenziosità normate (UNI EN ISO 8253-3), ed è importante per comprendere l’impatto comunicativo e sociale dell’ipoacusia, nonché per testare l’effettiva efficacia nell’applicazione degli apparecchi acustici.
“L’esame si basa su aspetti che coinvolgono da un lato la tipologia e la modalità di materiale verbale somministrato e dall’altro i meccanismi di decodifica uditiva e cognitiva di tale materiale – spiega la dottoressa Montuschi -. È un esame semplice, non invasivo, poco costoso e rapido che, nella sua forma sensibilizzata, prima dell’avvento della risonanza magnetica consentiva di effettuare ipotesi circa i possibili danni della via acustica centrale e che oggi offre dati utili alla diagnosi di disturbo di processamento uditivo (situazione che accade quando a fronte di una normale capacità di udire i suoni, il cervello non riesce ad elaborare correttamente le informazioni uditive). Ricordo in proposito che, secondo quanto riportato dall’ASHA (American Speech, Language and Hearing Association), l’incidenza di tale problematica riguarda, a seconda degli studi, dal 2%-3% al 7.3%-9.6% dei bambini e dal 23%-76% degli adulti di età superiore a 55 anni”.
Secondo la docente dell’executive master, promosso dal CEFPAS, l’orecchio è un organo “estremamente affascinante e sembra quasi impossibile che, in uno spazio così contenuto, (gli ossicini dell’orecchio medio sono i più piccoli del nostro corpo e la dimensione dell’orecchio interno è dell’ordine di pochi millimetri) vengano elaborate così tante informazioni, sembra incredibile che strutture così piccole siano responsabili dell’elaborazione di informazioni sonore e gravitazionali così importanti per il corretto sviluppo funzionale dell’individuo – osserva ancora Carla Montuschi -. La meraviglia del pensiero interiore in forma di discorso parlato con noi stessi nasce dall’interazione fra orecchio e cervello e ci accompagna creando spazi emotivi che possono essere assai intensi per tutto il corso della nostra vita”.
Nel corso della sua lezione, alla quale hanno partecipato numerosi specialisti, l’audiometrista Montuschi ha analizzato i meccanismi e gli effetti della “sordocecità attentiva” che trae origine da quelle informazioni sonore che raggiungono l’orecchio e sono capaci di “rapirci” dal contesto reale, trasportandoci in una dimensione interiore in cui gli spazi sono mediati dalle emozioni e possono essere estremamente dissimili dalla realtà. Con lei abbiamo approfondito questo argomento, che è fortemente correlato a numerosi fatti di cronaca accaduti negli ultimi anni con una preoccupante escalation.
La sua attività divulgativa sul tema della sordocecità attentiva trae spunto da una drammatica vicenda personale. Di cosa di tratta e quali impatti provoca sui comportamenti della persona?
La sordocecità attentiva è un fenomeno, purtroppo, in crescita che dipende dall’utilizzo di dispositivi quali cellulari o di cuffie per l’ascolto della musica durante lo svolgimento di un compito motorio. Il cervello, sebbene in grado di fare cose straordinarie, ha risorse attentive limitate ed è messo a dura prova quando deve svolgere un compito di attenzione condivisa fra più stimoli. Ogni giorno milioni di persone camminano per strada, corrono o guidano chattando con il cellulare, ascoltano musica o dialogano mentre sono in bicicletta o in moto. La conseguenza gravissima di questi comportamenti è che l’attenzione, rivolta a cosa accade nell’ambiente circostante, cala drasticamente con conseguenze talvolta fatali. A me è successo di assistere passivamente proprio a questo. Un giorno il treno su cui stavo viaggiando travolse un ragazzo di 22 anni che, distratto dall’ascolto della musica in cuffia, aveva oltrepassato la linea gialla. Non vidi nulla, ma sentii il botto sordo che fece il suo corpo nell’impatto, un rumore diverso dal consueto che si scolpì indelebile nella mia mente insieme alla sensazione di impotenza. È sempre facile giudicare il comportamento degli altri, ma dopo quell’evento mi accorsi di quanto siamo capaci di essere sordi agli avvertimenti della vita. ‘Non oltrepassare la linea gialla’ era un messaggio che tante volte avevo ascoltato distrattamente.
Qual è stata la sua reazione dinanzi a questo tragico evento? Quali fattori l’hanno spinta a legare gli aspetti clinici con la cultura della prevenzione?
Ho deciso di reagire informandomi, dovevo in qualche modo agire per prevenire il ripetersi di quell’evento. La morte di quel ragazzo doveva acquisire un senso… Così ho scoperto che, in Italia, non si parla affatto di sordocecità attentiva, sebbene annualmente vi siano titoli di giornali che riportano incidenti analoghi a quello che ho vissuto io, riguardanti soprattutto la fascia adolescenziale. Eppure basta dare un’occhiata alle statistiche che riguardano gli incidenti che coinvolgono pedoni “distratti” per capire che i dati sono in crescita e l’interazione con i dispositivi mobili come cellulari e tablet è diventata talmente pervasiva che in alcuni Paesi sono stati adottati semafori che proiettano tramite led sul pavimento stradale delle strisce rosse o verdi per indicare se è possibile o meno attraversare. Sono stati chiamati semafori per “smartphone zombie”. Sono stati creati cartelli stradali ad hoc, percorsi pedonali riservati e sono state fatte proposte di legge per l’applicazione di multe, ma il fenomeno rimane ancora allarmante poiché associato al fenomeno altrettanto allarmante della nomofobia (NO Mobile Phone PhoBIA) ovvero del timore di restare disconnessi.
L’informazione e la formazione sono fondamentali nella prevenzione delle situazioni di rischio. Con quali metodi e strumenti i professionisti sanitari possono promuovere buone pratiche educative tra le giovani generazioni e gli adulti?
L’opera capillare di informazione e di sensibilizzazione al problema può rappresentare il punto di svolta. Io sono una audiometrista e nel mio profilo professionale è proprio nominata l’attività di prevenzione delle problematiche connesse al sistema stato-acustico (equilibrio e udito). Questa declinazione del mio profilo è sempre stata considerata in relazione alle funzioni “periferiche” relative a udito ed equilibrio, ma negli ultimi anni sempre più la mia professione sta acquisendo l’importanza della valutazione del sistema stato-acustico nel contesto globale della sua funzionalità, ovvero ponendolo in relazione con le capacità attentive a loro volta poste a confronto con fattori come l’età, la presenza di quadri patologici complessi e, come in questo caso, con fattori esterni che possono generare un ‘sovraccarico’ di informazioni.
Dovrebbe quindi essere potenziata l’attività di informazione nelle scuole di ogni genere e grado, lavorando in sinergia con gli altri professionisti sanitari che, nella loro pratica clinica, affrontino le problematiche sensopercettive legate all’attenzione – conclude l’audiometrista piemontese -. Si dovrebbe far squadra anche con la polizia stradale e quella ferroviaria, parlando di queste tematiche non solo nelle scuole, ma anche in ambito sportivo dove la pratica di muoversi ascoltando musica è molto diffusa. Infine, si dovrebbero coinvolgere i colossi tecnologici produttori di smartphone e di dispositivi mobili al fine di potenziare i messaggi di avvertimento di attività potenzialmente pericolose, sfruttando le abilità di questi dispositivi di geolocalizzarci e di comprendere se vengono utilizzati quando ci stiamo muovendo.