Frasi che offendono e fanno male, con la stessa parola «Down» usata come insulto; e addosso l’etichetta di «eterni ragazzi» con gli occhi a mandorla, sempre felici e sorridenti, non in grado di prendere decisioni autonomamente. Luoghi comuni e stereotipi coi quali ancora oggi spesso devono fare i conti le persone con sindrome di Down, circa 38 mila in Italia, di cui 23 mila adulti.
Per cercare di abbattere i pregiudizi e diffondere la corretta conoscenza di questa condizione (non è una malattia), ritorna il 21 marzo l’appuntamento con la Giornata mondiale delle persone con sindrome di Down, voluto da Down Syndrome International e sancito ufficialmente da una risoluzione delle Nazioni Unite nel 2011. La scelta della data non è casuale poichè la sindrome è nota anche come Trisomia 21 in quanto dovuta a un’anomalia genetica: un cromosoma in più – tre invece di due – nella coppia n. 21 all’interno delle cellule.
Quest’anno il tema sul quale s’intende accendere i riflettori è «Basta con gli stereotipi», per ribadire il diritto delle persone con sindrome di Down a essere rispettate e trattate come gli altri, a scuola, nel mondo del lavoro, nella società.
Che cos’è la sindrome di Down, chi colpisce
In Italia circa un bambino su mille nasce con la sindrome di Down. Questa condizione non ereditaria, che è la più frequente causa di disabilità intellettiva, è caratterizzata dalla presenza, nelle cellule di chi ne è portatore, di 47 cromosomi anziché 46: nella coppia cromosomica n. 21 c’è un cromosoma in più, ed è per questo che la sindrome è chiamata anche Trisomia 21.Oggi sono 38 mila le persone stimate nel nostro Paese, di cui 23 mila adulte. Se messe nelle migliori condizioni, la maggior parte può raggiungere un buon livello di autonomia personale e dare un contributo attivo alla società.
«Supponi che io possa»
In occasione della Giornata mondiale, CoorDown-Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down ha lanciato la campagna internazionale «Assume That I can», «Supponi che io possa».
A ispirare il video della campagna è stato il discorso pronunciato alle Nazione Unite da Marta Sodano, oggi trentenne, in occasione del World Down Syndrome Day nel 2019: una ragazza con sindrome di Down ha intorno a lei persone che non la considerano in grado di bere un cocktail, studiare Shakespeare, andare a vivere da sola, così limitano le sue possibilità.
Cambiare prospettiva
L’invito rivolto a tutti è cambiare prospettiva, cioè supporre che una persona con sindrome di Down possa studiare, lavorare, innamorarsi, fare sport, dedicarsi alla musica, essere indipendente.
«Cambiare lo sguardo con cui ci si approccia alla disabilità è la sfida lanciata da CoorDown per il 2024 – sottolinea Antonella Falugiani, presidente di CoorDown Odv –. Con “Assume That I Can” mostriamo come ciascuno di noi può contribuire all’inclusione ascoltando e guardando senza filtri distorti le persone con sindrome di Down, le loro esigenze e desideri. Solo così possiamo abbattere i muri che ancora limitano le vite delle persone con disabilità intellettiva».
I pregiudizi si possono abbattere
«Stereotipi: il solito film horror» è il titolo dello spot, lanciato in occasione della giornata mondiale, da Aipd-Associazione Italiana Persone Down (si può vedere qui). Proprio come un film horror, che fa paura e spesso trae in inganno, la storia raccontata nello spot dimostra quanto la realtà possa essere deformata dalla lente del pregiudizio. Ma i pregiudizi possono essere abbattuti. «L’immaginario collettivo ha spesso associato le persone con sindrome di Down alla dipendenza e alla necessità di ricevere servizi e diritti – dice Gianfranco Salbini, presidente Aipd –. Nel cortometraggio si mostra che non solo possono autogestirsi, ma anche prendersi cura degli altri. È nostro compito metterli nelle condizioni di poterlo fare, sostenendoli attraverso percorsi di educazione all’autonomia, alla vita indipendente, alla vita sentimentale. E dando loro fiducia, perché possano dimostrare ciò di cui sono capaci».
Fonte: Corriere della Sera