
“Ascoltare se stessi e gli altri per creare fiducia e armonia relazionale”: Stefano Centonze, Presidente Nazionale Artedo, racconta il valore del Metodo Autobiografico Creativo
Suggestioni di emozioni, dei pensieri e dei vissuti fatte di colori, suoni e danza legate da un denominatore: la creatività. Grazie allo strumento dell’arteterapia le potenzialità dell’espressione artistica che possiede ogni persona e la sua capacità di elaborare quelle sensazioni che non vengono fuori con le parole nella vita di ogni giorno – sia nella sfera privata sia nei contesti professionali -, emergono e stimolano le sue attitudini, le sue abilità e migliorano la qualità della vita e delle sue relazioni.
È stato questo lo spirito che a giugno – per due giorni – ha animato il seminario sul “Metodo autobiografico creativo per il team building” previsto nell’ambito del master Formazione al Metodo delle Arti Terapie organizzato dal CEFPAS in collaborazione con la cooperativa ArtiTerapie ‘L’Arcobaleno’, referente per la Regione Sicilia del network nazionale ARTEDO presieduto da Stefano Centonze, fondatore del Metodo Autobiografico Creativo. Al seminario hanno partecipato numerosi operatori sanitari, insegnanti e professionisti che hanno vissuto l’esperienza pratica della comprensione delle emozioni attraverso un’interazione attiva, fondamentale per instaurare un clima di fiducia basato sulla comprensione empatica. Con Centonze abbiamo approfondito come questa metodologia didattica può essere utile nella ricerca del benessere psicofisico.
Su cosa si basa il metodo autobiografico creativo? Come nasce questo approccio e quali sono gli impatti che genera sulla crescita personale?
Il Metodo Autobiografico Creativo aiuta le persone comuni, gli operatori in ambito sanitario, gli educatori, gli insegnanti, a prendere contatto con la sfera emozionale con cui le persone hanno difficilmente dimestichezza. In realtà le persone credono di conoscere bene il proprio ‘funzionamento interiore’, ma diversi studi dimostrano che non è affatto così. La conoscenza di sé, invece, è fondamentale perché dal comportamento di ognuno che dipende la qualità delle relazioni.
Nell’era pandemica che giocoforza ha limitato le relazioni sociali, quanto è importante l’empatia? Per quali motivi e con quali strumenti il metodo autobiografico assume particolare rilevanza nella relazione di fiducia tra i professionisti sanitari e il paziente?
Soprattutto se parliamo di relazione d’aiuto in ambito sanitario, i professionisti sanitari devono essere molto sensibili all’ascolto e alla comprensione dei bisogni dell’altro, perché è una di quelle relazioni in cui c’è sempre uno stato di soggezione del paziente nei confronti dell’operatore sanitario. Questa figura si prepara così ad essere accogliente, sensibile, disponibile ai bisogni di una persona in difficoltà. Una persona che interfacciandosi con un operatore sanitario, un medico, ha comunque delle speranze sulla propria condizione che dipendono anche dal modo in cui le persone si pongono nei loro confronti.
Persone che nella storia personale non hanno elaborato delle emozioni negative, che generano separazione o che hanno dei vissuti forti, normalmente tendono a portare quei vissuti anche nella propria relazione con gli altri. Quindi, è chiaro che persone tutte diverse tra loro si presentano sulla base di quanto è scritto nel proprio codice genetico, perché le emozioni le ereditiamo dai nostri genitori, e in base a come queste emozioni vengono elaborate della formazione personale, dell’educazione e degli apprendimenti nel corso della vita.
Se però questa persona ha vissuto emozioni negative e non le ha mai elaborate, è altamente probabile, ma non è sempre detto che ciò accada, che le porti anche nelle relazioni con gli altri. Se si tratta di relazioni d’aiuto la gestione è abbastanza delicata e complessa, ed è un aspetto che deve essere affrontato. Il Metodo Autobiografico Creativo aiuta le persone a prendere dimestichezza con quei vissuti che appartengono alla storia personale e di cui una persona ha meno consapevolezza. Ciò accade perché utilizzando i linguaggi artistici si bypassano i linguaggi razionali e, quindi, il modo in cui una persona si racconta verbalmente. Se devo parlare di me, mi racconto in un certo modo. Ma se devo realizzare di me una rappresentazione simbolica utilizzando i linguaggi artistici, viene fuori qualcosa che le parole non riescono a dire.
Scegliendo questo percorso fortemente emotivo, quali caratteristiche di sé una persona è capace di far emergere?
Grazie a questo metodo, quando una persona si avvicina a questo messaggio nascosto e occulto scopre tante altre cose di sé e pertanto comprende anche perché alcune relazioni non vanno bene. Ma accade qualcosa di magico nell’utilizzo del Metodo Autobiografico Creativo. Tutti, in qualche modo, hanno da regolare delle emozioni forti che appartengono alla propria storia, perché tutti abbiamo subìto una perdita o avuto una relazione non andata bene o comunque dei vissuti più forti. Quando una persona scopre che quei vissuti vengono comunicati attraverso la parola, il linguaggio del corpo e con altre manifestazioni, comincia ad essere più sensibile alla fragilità degli altri.
Scoprire di essere fragili aiuta ad essere più disponibile ad accogliere la fragilità altrui. Fino a quando non vedo quegli aspetti della mia vulnerabilità che ho tentato di negare e non prendo dimestichezza con essa, sono meno propenso a comprendere la vulnerabilità degli altri. Su questo si radica il concetto di empatia. Quando si lavora nei setting con il Metodo Autobiografico Creativo, le persone condividono le loro emozioni e quindi entrano in risonanza emotiva con le emozioni degli altri e lì fanno esperienza di empatia, scoprendo che è diversa da come la intendono. L’empatia – che letteralmente significa mettersi nei panni dell’altra persona – è una dimensione abbastanza difficile da sperimentare, perché le persone sono normalmente empatiche ma con le loro stesse emozioni.
È più facile che una persona entri in empatia con uno stato d’animo che prova l’altra persona solo perché quello stato d’animo lo riconoscono come proprio, quindi non c’è reale avvicinamento alle emozioni dell’altro. Fino a quando non si sperimenta la propria condizione emozionale, allora in quel momento si scopre che gli altri sono anche vicini a noi e questo ci aiuta ad avvicinarci. Altrimenti diventa una forma di empatia egocentrica che non è esattamente l’empatia con i sentimenti degli altri.
Nella fiducia è dunque fondamentale, per poter noi infondere fiducia, essere disponibili ad un ascolto aperto che si scopre quando si è disponibili ad ammettere l’unicità delle altre persone e quindi la loro particolarità. Quando si lavora nei gruppi di formazione come quello che abbiamo organizzato con il CEFPAS, ci si rende conto come la relazione fiduciaria è fondamentale per armonizzarsi bene nelle équipe di lavoro. In tutti i gruppi di lavoro esistono sempre tante difficoltà: pensiamo ai gruppi aziendali, alle équipe sanitarie o i team sportivi e tutte le organizzazioni. Ciò che le singole persone portano della storia personale può essere una minaccia alla buona riuscita del lavoro del gruppo.
Fare un lavoro sull’ascolto di sé e sull’ascolto dell’altro per comprendere come, dando ascolto all’altro, se ne ottiene la fiducia, permette di armonizzare le relazioni e fa sì che il lavoro del gruppo sia più efficace della somma di quello svolto dai singoli. Fin quando non si incontra questa dimensione, nei gruppi è probabile che le performance della comunità siano inferiori a quelle svolte dagli individui.
Questa è stata l’esperienza che abbiamo condiviso con i partecipanti del seminario svoltosi al CEFPAS, ossia partire dalle emozioni personali, incontrare quelle degli altri e poi condividerle nel clima di gruppo per capire come sciogliere i nodi delle relazioni all’interno di tutti i gruppi di lavoro.
Artedo investe molto sulla crescita delle persone e lo sviluppo del pensiero critico, soprattutto tra gli studenti. In tal senso, avete contribuito all’elaborazione di una proposta di legge per introdurre l’intelligenza emotiva nei programmi didattici. Di cosa si tratta?
Nel mondo del lavoro, l’intelligenza emotiva sta conquistando sempre più considerazione: è stata infatti inserita tra le prime dieci competenze richieste entro il 2020 dal World Economic Forum. Vogliamo aiutare la scuola italiana a rendere autonomi gli studenti, liberi di pensiero, capaci di costruttiva riflessione critica per diventare cittadini partecipi della democrazia. Si inserisce in questa visione la proposta di legge n. 2782 del 13 Novembre 2020, presentata su iniziativa del deputato Maria Teresa Bellucci e sostenuta anche da altri parlamentari, dal titolo “Disposizioni in materia di insegnamento sperimentale dell’educazione all’intelligenza emotiva nelle scuole di ogni ordine e grado” a cui ho avuto l’onore di partecipare e contribuire con i miei scritti e con le mie idee. È la logica continuazione della mozione parlamentare sul medesimo tema, presentata nel 2019. La proposta di legge si pone l’obiettivo di introdurre, nelle scuole di ogni ordine e grado, l’ora curricolare di intelligenza emotiva per contrastare in modo efficace il bullismo, la povertà educativa, la dispersione scolastica e altri fenomeni devianti, favorendo il recupero del vocabolario emotivo perduto, il miglioramento del clima relazionale, sia tra gli studenti che all’interno della holding educativa, tra studenti, insegnanti e famiglie, il miglioramento degli ambienti di apprendimento, la distensione dei rapporti tra istituzione scolastica e famiglie e la prevenzione dei casi di isolamento e di insorgenza precoce di patologie tra gli adolescenti.
L’intervista è stata realizzata dal Servizio Comunicazione del CEFPAS.