
Secondo i dati dell’Osservatorio Istat e Alba del 2023, i disturbi alimentari in Italia colpiscono tre milioni di persone, in particolare l’incidenza di anoressia e bulimia è pari all’8-10% nelle ragazze e del 0,5-1% nei ragazzi. I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) si configurano oggi come un problema socio sanitario specifico che, negli ultimi anni, ha registrato un progressivo incremento con numeri tali da rappresentare un fenomeno di grande allarme sociale. Con la legge 234/2021 art.1, commi 688 e 689 è stato istituito il Fondo per il Contrasto ai Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione. Di questi argomenti si è discusso in occasione di “DNA una epidemia della modernità: Diagnosi e Trattamento Ambulatoriale” ossia del kick off del progetto formativo sui Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA) che si è svolto il 21 febbraio al CEFPAS. La Referente Scientifica è Carmelita Russo, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, Responsabile “Percorso Diagnosi e cura dei Disturbi della Nutrizione/ Alimentazione in età evolutiva” U.O.C. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (N.P.I.A.) – ASP CT, presso l’ospedale di Acireale che abbiamo intervistato.
- Quante persone soffrono di disturbi alimentari in Sicilia?
Non è possibile fornire un dato epidemiologico certo, in quanto all’Osservatorio Epidemiologico Regionale pervengono solo i dati che si riferiscono ai pazienti che hanno avuto un trattamento ospedaliero, in ricovero ordinario o in day-hospital e day-service. I dati ambulatoriali non sono estrapolabili perché confluiscono nel più ampio contenitore dei Dipartimenti di Salute Mentale, ma soprattutto manca del tutto il sommerso, cioè i tantissimi casi trattati in ambito privato e quelli che non sono neppure identificati come tali.
Tuttavia, è importante segnalare alcuni elementi dell’andamento epidemiologico, specie dopo il periodo Covid: l’aumento del 30-40% dei casi che affluiscono ai Servizi, l’abbassarsi dell’età di esordio dei disturbi, in media ormai tra i 12 e i 14 anni, l’aumento dei soggetti di sesso maschile, l’aumento dei casi nell’infanzia e il manifestarsi di nuove forme (per esempio la drunkoressia, associazione di anoressia e abuso di alcool), nonché il manifestarsi di forme non ancora ufficialmente classificate tra i disturbi alimentari, ma con caratteristiche psicopatologiche riconducibili al comportamento alimentare. Un esempio per tutte, la cosiddetta vigoressia, detta dagli americani “anoressia al rovescio”, caratteristica soprattutto di maschi che hanno come principale scopo di vita costruirsi un corpo sempre più muscoloso, e che a tal fine consumano grandi quantità di proteine, anche sotto forma di integratori.
- Cosa si intende per Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA)?
Il fil rouge che connette tutti i disturbi alimentari è una alterazione del rapporto col nutrimento che può essere rifiutato, controllato, selezionato, manipolato, consumato in eccesso, che compromette la vita relazionale dei pazienti e delle loro famiglie, con pesanti ricadute sulla salute fisica, suscettibili di condurre talora alla morte.
- Qual è il disturbo alimentare più comune nei ragazzi e nelle ragazze e a che età si manifesta?
Nelle ragazze il disturbo tuttora più frequente è quello anoressico, benché negli ultimi anni l’esordio restrittivo sembra virare di frequente verso condotte iperfagiche, fino alla vera bulimia. Il disturbo, inoltre, si va manifestando con una nuova complessità, ossia condotte autolesive (cutting, tagli sul corpo), pensieri e tentativi suicidari, abuso di sostanze, secondo modelli sostenuti mediaticamente sui social network. L’età prevalente di esordio si colloca tra 11 e 14 anni. Nei maschi, nell’infanzia e in preadolescenza, è sempre più frequente il cosiddetto ARFID, disturbo evitante-restrittivo, con riduzione dell’apporto di cibo, iperselettività fino al rifiuto di alcuni alimenti. In adolescenza, i ragazzi manifestano condotte più tipiche di tipo anoressico e, in aumento, di vigoressia, in atto più frequenti nella tarda adolescenza e nei giovani adulti.
- Perché è importante l’evento di presentazione del progetto formativo sui Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA) che si è tenuto il 21 febbraio al CEFPAS?
L’evento del 21 febbraio è introduttivo al corso di formazione previsto dal PDTA Regionale per gli operatori di tutti gli ambulatori territoriali dedicati ai DNA, ormai presenti in tutte le province, e per pediatri, medici di base, di medicina ospedaliera e di pronto soccorso, neuropsichiatri infantili e psichiatri. Sono previste nove edizioni, una per ogni Azienda Provinciale, ciascuna di quattro giornate formative, con trenta partecipanti indicati da ciascuna Azienda.
Il corso ha la finalità di approfondire la conoscenza della problematica, complessa e in rapida trasformazione e di rendere coerenti gli approcci, le metodologie e i linguaggi, sia in fase diagnostica che di trattamento, nel rispetto della peculiare fase evolutiva del singolo paziente, ecco perché si definiscono percorsi per minori e percorsi per adulti. Il corso si propone soprattutto di mettere in rete i diversi livelli assistenziali. Si è rilevato, infatti, che il rischio di drop-out e di fallimento nei trattamenti, con rischio di cronicizzazione, oltre che alla peculiarità di alcuni casi particolarmente difficili, dipende dalla scarsa connessione tra i diversi servizi che si occupano del caso. Il medico di base o il pediatra, gli ambulatori, il Pronto Soccorso, i reparti ospedalieri sono tutti coinvolti, in quanto la problematica dei DNA, per la sua particolarità, richiede una “filiera assistenziale”, in grado di erogare trattamenti lunghi, interventi su eventuali emergenze/urgenze.
La giornata del 21 febbraio ha accolto in plenaria tutti i partecipanti alle edizioni del corso che si svolgeranno in ciascuna ASP, con l’intenzione di far incontrare l’intera futura comunità curante in un momento formativo collettivo, che sia di stimolo al pensiero e che anticipi, con il contributo di esperti di riconosciuto sapere ed esperienza sui DNA, quanto verrà successivamente approfondito.
- Quale ruolo avranno le nove ASP siciliane nel progetto formativo?
Le nove Aziende provinciali devono portare avanti gli obiettivi progettuali e tradurli nella pratica assistenziale locale, alla luce delle indicazioni fornite dalle linee guida: formulare un PDTA locale, identificare un “team sentinella”, coordinare le azioni preventive e di sensibilizzazione rivolte a genitori, agenzie educative, società sportive etc. Compito fondamentale di ciascuna realtà provinciale è mettere in rete, coinvolgere nel progetto formativo e nella successiva pratica clinica i medici di Medicina Generale, i pediatri, gli operatori delle aree di emergenza e, in generale, tutti i soggetti che a diverso titolo svolgono un ruolo all’interno di quella che deve configurarsi come una comunità curante. Le aziende sanitarie, in ottemperanza alle indicazioni progettuali, sono promotrici del corso e contemporaneamente fruitrici, attraverso il personale da loro indicato per la formazione. Capofila del percorso formativo è stata indicata l’ASP di Caltanissetta e la Dr.ssa Maria Gattuso, responsabile dell’ambulatorio aziendale dedicato ai DAN, ha contribuito al progetto scientifico e all’organizzazione del corso. Infine, il progetto formativo prevede che su base locale si elabori una cartella clinica condivisa.
- I fattori di prevenzione sono fondamentali per contrastare questi disturbi: quali sono?
Quello della prevenzione è un grande e controverso capitolo. È ormai acclarato che gli interventi informativi diretti ai ragazzi e, peggio ancora, ai bambini, producono un “effetto boomerang”, con l’acquisizione di conoscenze che, più che sortire un effetto deterrente, inducono il disturbo, come emerge da dati di letteratura e da numerose evidenze nelle storie cliniche dei nostri pazienti. Sono invece assai più utili programmi che tendono a intercettare il disagio dei nostri ragazzi e a promuovere quei fattori protettivi, individuali e gruppali, in grado di aiutarli a evitare la seduzione del proibito. Di fatto, i programmi di prevenzione più utili ed efficaci sono quelli diretti agli adulti, soprattutto genitori e insegnanti, per sviluppare attenzione a una giusta nutrizione, evitando per primi quegli stili alimentari disfunzionali che possono indurre e/o sostenere il disturbo dei figli. Genitori ed educatori dovrebbero inoltre essere sensibilizzati a riconoscere precocemente i segni di esordio, per rivolgersi prontamente ai Servizi per intervenire tempestivamente. La tempestività dell’intervento, come è noto, condiziona significativamente la prognosi.
- Cosa prevedono le linee le linee guida sul PDTA Regionale, elaborate dal Gruppo Tecnico di lavoro regionale?
Le linee guida prevedono innanzitutto la ricognizione dei Servizi territoriali dedicati e la loro identificazione, con indirizzo e recapito telefonico e descrivono le modalità di accesso alle strutture, con particolare riferimento ai percorsi ambulatoriali dedicati rispettivamente ai minori e agli adulti. Prevedono poi il counseling telefonico con l’identificazione dei livelli di gravità, per stabilire le priorità cliniche e l’assessment da adottare, dalla valutazione iniziale sino alla stesura del piano di trattamento, che deve essere multidisciplinare. Le linee guida fanno inoltre riferimento alla presa in carico ospedaliera per minori e adulti.
- Con la legge 234/2021 art.1, commi 688 e 689, è stato istituito il Fondo per il Contrasto ai Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione, di cosa si tratta?
Nato dal censimento dei Servizi per la cura dei DNA e dell’utenza afferente, finanzia piani di intervento regionali e provinciali volti al miglioramento dell’assistenza alle persone con DNA, sia in termini di efficacia clinica che di adeguamento organizzativo. Alla Sicilia sono stati assegnati 2.015.000 euro, di cui 1.209.000 per il primo anno e 806.000 euro per il secondo anno, distribuiti tra le diverse ASP in proporzione alle dimensioni della popolazione.
- Da neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, quali consigli darebbe ai genitori di un adolescente con disturbi del comportamento alimentare?
È ormai acclarato che, con il paziente, si “ammala” anche la famiglia: i genitori si sentono impotenti e disperati di fronte al rifiuto alimentare o alle condotte di eliminazione che mettono in atto i pazienti. Preda dell’angoscia di morte, anche in famiglie normali e serene, i genitori entrano in conflitto nella gestione dell’alimentazione. Il momento dei pasti non è più conviviale, ma diventa un campo di battaglia, con pesanti ricadute sul campo emotivo. In definitiva i genitori, sconfitti dall’onnipotenza del disturbo, si sentono soli e impotenti, perdono la funzione normativa e stanno “sotto ricatto”, per timore che un intervento deciso peggiori il quadro.
Quello che consiglio ai genitori è soprattutto controllare l’inevitabile paura che induce il disturbo del figlio e accedere quanto prima ai servizi dedicati più vicini, tramite il pediatra o il medico di base, o comunque anche a libero accesso, ecco il grande valore degli ambulatori dedicati in ogni provincia e della presenza di una rete. Senza attendere che il paziente si convinca o dia il suo consenso (quasi sempre i pazienti rifiutano le cure), con coerenza reciproca e alleanza di coppia, i genitori devono essere aiutati a riassumere la funzione genitoriale, che il disturbo quasi sempre mette in scacco. Una funzione più normativa risulta in fondo protettiva nei confronti del minore, che ne ha un profondo bisogno anche se lo nega e si oppone.
Consiglio infine ai genitori di non scoraggiarsi per eventuali ricadute o complicazioni nel percorso di cura, ma di mantenere la continuità di cura nello stesso servizio che ha in carico il figlio, anziché frammentare il percorso alla ricerca della “terra senza il male”: proprio là sta il rischio di cronicizzazione. Ovviamente, per affrontare un momento cosi difficile e spesso drammatico, i genitori devono essere orientati e sostenuti adeguatamente, per cui consiglio loro di accedere comunque all’ambulatorio dedicato, anche se il figlio si rifiuta. Da lunga esperienza personale e, recentemente, da dati di letteratura, il lavoro con i genitori è indispensabile per agganciare il paziente e per le successive cure.
L’intervista è stata realizzata da Ilenia Inguì, Dirigente del Servizio Comunicazione del CEFPAS.