CEFPAS

Centro per la Formazione Permanente e
l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario

Cefpas FlashNews 29 luglio 2020

Conclusi con successi i corsi USCAT al CEFPAS

Si sono concluse il 24 luglio scorso le ultime due edizioni del Corso USCAT organizzato dal CEFPAS e rivolto agli operatori delle Unità Sanitarie di Continuità Assistenziale Turistica (USCAT) segnalati dall’Assessorato.

Oltre 300 i professionisti sanitari afferenti alle nove province siciliane che hanno preso parte alle 7 edizioni del percorso formativo on line.

Tra i principali temi trattati nell’ambito delle 5 sessioni, la piattaforma SICILIA SI-CURA e la web App sviluppata dall’Azienda Intelligence for Environment & Security – IES Solutions, i Protocolli e le procedure in caso di sospetta infezione COVID, la scheda triage, le procedure di effettuazione del tampone, il comportamento in isolamento, l’infezione COVID, gli aspetti medico legali.

Ampio gradimento è stato percepito sia dai docenti sia dai partecipanti per la salienza contenutistica degli argomenti trattati e la loro pertinenza rispetto all’attività sanitaria delle USCAT.

Oltre alla formazione strutturata, è stata anche realizzata una sessione di follow-up nel corso della quale i partecipanti sono stati aggiornati in merito alla farmacoterapia disponibile ed efficace per il trattamento dei soggetti COVID positivi, all’andamento dei contagi, all’upgrade del software per la gestione dei soggetti positivi a COVID 19. Gli esperti sono stati disponibili a rispondere alle molte domande poste dagli operatori riguardo alla gestione dei casi. 

Progetto I.C.A.R.E. : intervista al prof. Mario Affronti

Si tiene in questi giorni al CEFPAS il primo ciclo di incontri formativi relativo all’azione 4.5 del Progetto “Integration and Community Care for Asylum and Refugees in Emergency (I.C.A.R.E)” avviato dall’Assessorato Regionale della Salute che ha individuato l’ASP di Trapani quale Ente capofila per gli anni 2019-2020 e che prevede la collaborazione con il CEFPAS nell’ambito delle azioni formative con l’obiettivo di  migliorare l’accesso alle cure sanitarie per i richiedenti e titolari di protezione internazionale compresi i casi speciali, nei servizi sanitari territoriali ottimizzando la fase di assistenza di II livello e specialistica. Per comprendere quale sia l’attuale livello di presa in carico territoriale della domanda sanitaria che proviene dalla popolazione migrante e dai soggetti richiedenti asilo e protezione internazionale, anche dopo i recenti decreti sicurezza emanati dal governo, abbiamo incontrato il Prof. Mario Affronti, Responsabile Unità operativa semplice di Medicina delle Migrazioni dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico “P. Giaccone” di Palermo e past president della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni.

Prof. Affronti, è possibile una presa in carico culturalmente competente della domanda sanitaria della popolazione migrante e se sì, quali azioni sono necessarie?

“Dopo più di trent’anni di migrazioni in Italia dovrebbe essere normale avere un approccio culturalmente competente in questo campo ma constatiamo che ancora questo non avviene nello stesso modo in tutti i territori. Si configura una diffusione “a macchia di leopardo” che dipende dal fatto che alcune realtà siano più “attrezzate”, alcune regioni e realtà regionali più virtuose di altre nel promuovere il diritto alla salute e nel saperne intercettare il bisogno. Oggi noi sappiamo che c’è un problema all’origine ovvero non conosciamo i problemi di salute di queste popolazioni e li trattiamo impiegando metodologie tipiche dell’emergenza.

Invece conosciamo molto e abbiamo la possibilità di non trattare più i bisogni sanitari della popolazione migrante come se fossero un’emergenza o di presumerli ma di agire sulla loro espressione nei contesti reali.

L’emergere della complessità del fenomeno migratorio unitamente alla scarsa conoscenza e diffusione delle informazioni relative ai contesti sanitari e socio culturali di provenienza dei richiedenti asilo sembrerebbe aver consolidato nel tempo la convinzione che i migranti siano veicolo di patologie scarsamente conosciute in Occidente e per questo pericolose ed ad alta contagiosità.

Già negli anni ’90, quando nasce la medicina delle migrazioni, si cominciava a parlare di “sindrome di Salgari” ovvero dell’arrivo di patologie esotiche poi mai approdate sui nostri territori. Adesso noi sappiamo che tramite la ricerca attiva e le indagini epidemiologiche è possibile trarre dati importanti sulla salute delle popolazioni migranti.

In quanto all’applicazione della norma, sappiamo che l’Italia ha una legislazione comprensiva ed inclusiva che consente l’accesso agli ambulatori dedicati STP (Stranieri Temporaneamente Presenti)/ENI (per i cittadini comunitari) che danno assistenza pubblica, legale a queste persone ma che tuttavia non sono diffusi in tutte le città, anche in una Regione come la nostra che ha recepito la stragrande maggior parte della legislazione nazionale.

In Sicilia gli irregolari non saranno più di 20-25.000 su 200.000 migranti regolari ovvero circa il 10% del totale con una quota maggiore a Palermo. Nel campo dell’accoglienza ai richiedenti protezione internazionale,  il nostro sistema nazionale ha fatto scuola in tutta Europa – faccio riferimento agli SPRAR.  Gli attuali SIPROIMI ovvero la nuova rete del sistema di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati che sostituisce gli SPRAR, consentono una protezione a coloro che sono già garantiti ma, dal momento che la protezione internazionale è stata eliminata, queste persone hanno ingrossato le quote degli irregolari compromettendo l’accesso ai servizi.

Tuttavia, non abbiamo ancora una quantificazione del bisogno di salute della popolazione migrante e questo comporta uno scostamento domanda – offerta sanitaria. L’approccio culturalmente competente pertanto è un approccio sempre più mirato alla persona, centro della medicina transculturale e valido a qualsiasi latitudine. In più, i dati relativi a questi bisogni di salute, che possiamo definire “complessi”, possono essere tratti dalle SDO.

Per quanto riguarda la medicina di genere, le SDO si riferiscono ad esempio, alle gravidanze e nei day service è possibile ricavare molti dati sulle pratiche abortive. I richiedenti asilo esprimono problemi che non attengono al livello fisiologico o organico ma anche alla salute mentale correlata alla perpetrazione di maltrattamenti o all’espressione del PTSD. Negli ambulatori le principali categorie epidemiologiche si riferiscono alle malattie croniche non trasmissibili ma soprattutto a patologie determinate da fattori distali (mancanza di lavoro, separazione dalle famiglie, condizioni malsane di vita, povertà). Eppure queste popolazioni, sebbene siano una ricchezza, sono largamente considerate come causa di crisi delle società moderna.

Qual è attualmente la motivazione alla cura espressa dagli operatori sanitari che si occupano dell’accesso dei migranti ai differenti livelli sanitari?

Molte malattie espresse dalle popolazioni migranti sono evitabili perché correlate a determinanti sociali, come ad esempio, l’obesità. Il personale medico che noi incontriamo nei corsi di formazione viene sensibilizzato al decentramento culturale, alla sospensione del giudizio di valore nel trattamento della patologia e al recupero della “dignità nella relazione” con il paziente. Autori occidentali come Emanuel Levinas parlano di “decostruzione dell’io”, fondamentale nella relazione con pazienti stranieri portatori anch’essi di convinzioni nei nostri confronti, per cui è una decostruzione reciproca. L’altro passo è dare dignità: il motto della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni è “Dignitas in salus, Salus in Dignitate”. Entrare in un servizio medico e sentirsi accolti nel rispetto della propria dignità è significativo e rilevante soprattutto per la storia dei migranti in cui spesso la dignità è stata calpestata. Bisogna superare la convinzione disfunzionale da parte dell’operatore di non essere sufficientemente equipaggiato. Virchow diceva che “i medici sono gli avvocati naturali dei malati a causa della povertà”, auspicando anche che le leggi siano sempre più rispondenti ai bisogni delle persone. L’art. 32 della nostra Costituzione chiarisce che il sistema sanitario italiano deve essere diseguale e dare di più a chi ha di meno ed è questo che fa della nostra professione una professione esaltante.

Qual è lo scenario auspicabile rispetto al Progetto e alla costruzione di una comunità di operatori socio sanitari dedicati all’accesso ai servizi da parte dei migranti?

La medicina delle migrazioni non è una branca specifica della medicina. Io sono un medico di medicina generale e ho competenze per lavorare con i pazienti anche nel contesto isoculturale; una di queste competenze è l’attenzione alla persona e alle differenze socio culturali di espressione dei sintomi e della malattia. L’auspicio è che ciascuna comunità di operatori comprenda di essere in grado di accogliere e rispondere ai bisogni di salute della popolazione migrante implementando i principi della pratica medica a tutti i livelli.

Cefpas FlashNews 29 luglio 2020

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