In occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer il CEFPAS, in collaborazione con SINdem (Associazione autonoma aderente alla Società Italiana di Neurologia per le Demenze), e l’Associazione Italiana di Psicogeriatria, organizza a Caltanissetta il convegno sul tema “Rete assistenziale per le demenze” che si svolgerà mercoledì 21 settembre 2022 presso la Sala Garsia del Centro.
La giornata di lavori sarà un’occasione di confronto e dibattito tra specialisti, esperti e rappresentanti delle associazioni scientifiche e dei familiari dei pazienti per approfondire le linee di intervento previste dal Piano Nazionale delle Demenze e gli aspetti organizzativi multidisciplinari dei Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze. Nel corso del convegno, inoltre, saranno approfonditi i ruoli e gli interventi dei centri di 2° livello nella gestione dei pazienti con demenza e illustrate le innovative strategie farmacologiche nel trattamento dell’Alzheimer.

È prevista una tavola rotonda con i partecipanti con l’obiettivo di favorire la creazione di una rete integrata sul territorio siciliano tra le varie associazioni scientifiche e di assistenza dei pazienti e dei loro familiari, per migliorare la qualità dell’offerta dei servizi sanitari specialistici e socio-assistenziali.
Con il professore Tommaso Piccoli, uno dei responsabili scientifici del convegno e docente presso il Dipartimento di Biomedicina, Neuroscienze e Diagnostica Avanzata dell’Università di Palermo, abbiamo approfondito alcuni dei temi più attuali sulla prevenzione e la cura della malattia.
Quali sono i principali fattori di rischio per la demenza e, in generale, dei disturbi cognitivi? Come riconoscerli, prevenirli ed eventualmente ridurli?
In assenza di terapie in grado di modificare il decorso naturale della demenza, la prevenzione resta un’arma fondamentale. La probabilità di ammalarsi dipende dal risultato di fattori di rischio e fattori protettivi. Esistono fattori di rischio sui quali possiamo intervenire e altri su cui non possiamo. Tra i primi sono importanti gli stili di vita non corretti, quali una cattiva alimentazione, l’abuso di alcool, il fumo, una vita sedentaria e la scarsa attività intellettuale. È importante correggere queste abitudini sin dall’ età giovanile: una vita sana e intellettualmente vivace protegge dall’insorgenza di molte malattie dell’anziano, tra cui la demenza. Corretti stili di vita aiutano inoltre a prevenire condizioni che a loro volta sono fattori di rischio per la demenza, ovvero l’obesità, l’ipertensione e il diabete. Questi vanno prevenuti e, se presenti, curati adeguatamente. Lo stesso discorso è valido non solo per la prevenzione della malattia, ma anche per ridurre la probabilità di progressione, una volta che la malattia è iniziata.
Facciamo il punto sulla ricerca nel trattamento farmacologico contro l’Alzheimer. Sotto il profilo clinico, quali speranze possono esserci per i malati e i loro familiari?
Ormai da molti anni siamo in attesa di farmaci che siano veramente efficaci. Negli Stati Uniti è stato recentemente approvato l’uso di un farmaco innovativo, in grado di rimuovere l’amiloide dal cervello malato (una proteina che nell’Alzheimer diventa tossica per i neuroni), ma non ci sono prove convincenti che possa effettivamente cambiare il decorso della malattia, motivo per il quale in Europa non è stato approvato. Molti farmaci sono stati e sono tutt’ora oggetto di studio e nuove sperimentazioni sono in preparazione. Attualmente sono 143 i farmaci in fase di studio, alcuni dei quali già in fase molto avanzata e, anche se non è facile poter prevedere in che tempi, la comunità scientifica è molto fiduciosa che presto questa malattia potrà essere curabile.
La presa in cura di un malato richiede competenze specialistiche. Su quali bisogni formativi è necessario investire per garantire un’assistenza terapeutica ai pazienti che sia ampia e inclusiva?
La formazione del personale è un momento fondamentale nell’affrontare la gestione della demenza. È importante che i medici di famiglia imparino a riconoscere e valutare i primi segni della malattia in modo da poter tempestivamente inviare il malato ai centri esperti ma è anche necessario che ne conoscano il decorso e quali sono i sintomi associati. Tra questi, i disturbi del comportamento (insonnia, agitazione, aggressività, ecc.) sono i più impegnativi. Un sanitario che li conosca e che possa seguire la famiglia nel tempo può attuare insieme ai familiari delle strategie di prevenzione e di trattamento non farmacologico degli stessi. In questo contesto, il caregiver (chi si occupa del malato), che sia un familiare o il personale di una struttura sanitaria, deve essere a sua volta formato per la gestione della demenza: è riconosciuto che l’istruzione corretta del caregiver consente di ritardare e ridurre la prescrizione di farmaci sedativi che rappresentano un rischio per la salute del malato.
I familiari e le associazioni dei pazienti chiedono maggiore assistenza integrata sui territori, lamentando una solitudine che rischia di acuire la convivenza con la malattia. Come intervenire per migliorare la qualità delle prestazioni sanitare e socio-assistenziali?
Esistono dei centri esperti, i CDCD (Centro Disturbi Cognitivi e Demenze, ex UVA) che rappresentano (o dovrebbero rappresentare) il punto di riferimento per la famiglia. Questi sono spesso costituiti da uno o due medici che, in assenza di personale di supporto, trovano enormi difficoltà nello svolgere il proprio lavoro al meglio. Bisognerebbe potenziare i CDCD incrementando il numero di medici, ma anche prevedendo la presenza di altre figure quali psicologi, logopedisti e fisioterapisti. Altre strutture fondamentali sono i Centri Diurni e gli Alzheimer Caffè, molto apprezzati dai pazienti e dai loro familiari, dove si svolgono attività ricreative e di terapia occupazionale e dove i familiari possono riunirsi tra loro e, insieme agli esperti, discutere i loro problemi di gestione e studiare delle strategie per affrontarli. Infine, per le fasi più avanzate, le strutture preposte sono le RSA, dove il malato può essere ricoverato per la gestione di terapie complesse. Se la rete già esistente fosse potenziata con nuovi centri, nuovo personale formato e incrementando le possibilità di comunicazione tra i vari attori (medico di famiglia, specialisti, centri diurni ed RSA), credo che si possa fornire un’assistenza migliore e più efficiente. Quest’anno, per la prima volta, il Ministero della Salute ha stanziato dei fondi per ogni Regione da utilizzare per questo scopo.
Quali sono i punti di forza della telemedicina e della tele-riabilitazione per affrontare le diverse fragilità?
La recente pandemia, specie nelle sue fasi iniziali, ha profondamente modificato l’approccio con i nostri pazienti. Per un lungo periodo non è stato possibile vederli in ambulatorio e le valutazioni sono state fatte al telefono, via mail o tramite videochiamate. Questo ci ha fatto comprendere quanto l’assistenza in remoto possa essere utile e realizzabile. Poter seguire i nostri pazienti al domicilio, valutarne le loro esigenze e i loro comportamenti al domicilio, riuscire a fare della riabilitazione cognitiva in remoto, sarebbero opportunità enormi per la gestione dei pazienti con demenza. Si potrebbero così ridurre gli accessi agli ambulatori, spesso troppo affollati e avere informazioni ricavate dall’ osservazione diretta del paziente nel proprio ambiente. La SINdem (Associazione Autonoma aderente alla Società Italiana di Neurologia, per le Demenze) ha promosso e realizzato uno studio nazionale per la standardizzazione di valutazioni cognitive telefoniche e il Tavolo Tecnico regionale siciliano per le demenze ha prodotto un progetto per l’utilizzo dei fondi ministeriali, che prevede l’implementazione di una rete di telemedicina e tele-riabilitazione su base regionale. Tali procedure, pur molto importanti, non potranno naturalmente sostituire del tutto la visita ambulatoriale che resta un momento di confronto importante.
L’intervista è stata realizzata dal Servizio Comunicazione del CEFPAS.