CEFPAS

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Aiuto e supporto alle mamme che perdono un figlio in gravidanza, la psicologa: “Rendere più umana la permanenza in ospedale”

La psicologa Loredana Messina

Con “lutto prenatale” si fa riferimento al lutto legato alla perdita del bambino durante tutta la gravidanza. Il lutto “perinatale” è, in particolare, la perdita del bambino nella seconda metà della gravidanza e nelle settimane successive alla nascita: nella definizione estesa di lutto perinatale è compresa anche la morte del bambino entro i primi 28 giorni di vita (morte neonatale tardiva). Nel mondo, ogni 16 secondi nasce un bambino morto, per un totale di due milioni l’anno (dato del 2020 del rapporto “A Neglected Tragedy. The global burden of stillbirths”). La distribuzione geografica indica che la casistica è concentrata soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito, pari all’84% per cento. Come si legge in un articolo pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità, il report registra, in Italia, un tasso di mortalità in utero pari a 2,4 per 1000 nati e una diminuzione del 15,1% dall’anno 2000 (1507 casi) al 2019 (1070 casi).

L’intensità del lutto prenatale non è tanto correlata all’età gestazionale, né alla presenza di patologie fetali o di incompatibilità con la vita, quanto piuttosto al grado di investimento affettivo dei genitori. La perdita di un figlio o di una figlia desiderati, durante la gravidanza, alla nascita o subito dopo il parto, è un’esperienza drammatica che interrompe in modo brusco il processo di genitorialità. Il CEFPAS affronterà questo delicato argomento durante il corso “Supporto all’elaborazione del lutto perinatale” che si svolgerà il 4 maggio. La responsabilità scientifica dell’attività formativa è affidata alla psicologa Loredana Messina che abbiamo intervistato.

  • Come affrontare un evento drammatico come la perdita di un bambino nel grembo o appena nato per una donna?

La perdita di un bambino in grembo è un evento traumatico che inevitabilmente crea una sorta di linea di demarcazione tra il prima e il dopo. Su tale evento incidono tantissime variabili che vanno dal personale al culturale e che possono creare una differenza importante. Sarebbe importante creare una gestione condivisa da tutti gli ospedali o strutture sanitarie, creando delle équipe non solo specifiche, ma specificatamente formate con lo scopo di procedere tutti verso la stessa direzione. Ma ciò è difficile e servirebbe un notevole impegno organizzativo e strutturale.

Perdere un figlio in grembo potrebbe attivare fattori di rischio per lo sviluppo di psicopatologie se non trattate o se “chiuse in un cassetto nel tentativo di dimenticare”. Sono rischiose soprattutto per le gravidanze successive all’infausta notizia. Gestire questi casi con una “multidisciplinarietà effettiva”, prevedere colloqui di sostegno e concedere il tempo ai genitori di ‘vivere’ quel bambino diventa importante per permettere loro anche di “chiamarlo per nome ad alta voce”. I genitori diventano tali quando vedono il test di gravidanza positivo e iniziano ad amare il loro bambino in ogni istante della breve vita in grembo; lo amano talmente tanto che quando gli viene comunicato il decesso, il dolore è così grande e così insopportabile che iniziano a pensare di non poter amare nessun altro bambino per paura di dimenticare o sminuire quello che hanno perduto.

Il compito degli operatori sanitari, e degli psicologi in particolare, dovrebbe essere quello di ridurre i fattori di rischio per permettere ai genitori “speciali” di comprendere che il figlio perduto non può essere sostituito legittimizzando la perdita e rendendo, in tal modo, il bimbo reale come il dolore che provano.

  • Quali sono i bisogni percepiti e quali le principali emozioni durante il lutto perinatale?

Quando parliamo di bisogni percepiti dobbiamo fare una distinzione tra fisico ed emotivo nel tentativo di esprimere e cogliere una integrità psico-fisica dell’essere umano. A livello fisico si possono presentare: variazione della sensibilità e delle percezioni corporee (freddo, sudorazione, improvvise vampate di calore, rigidità), inquietudine motoria oppure passività, aumentato bisogno di sonno oppure insonnia, perdita dell’appetito o bisogno di mangiare in modo compulsivo, disturbi cardiaci o circolatori (aumento della pressione arteriosa, tachicardia, diminuzione della pressione con debolezza e astenia), disturbi gastrici e/o intestinali, senso di oppressione al petto, dispnea (respiro corto o affannoso), apatia. Questi sintomi fanno parte delle manifestazioni fisiche del lutto ed è importante prendersene cura in maniera adeguata. Quando trattiamo i bisogni emotivi dobbiamo sottolineare che le emozioni del lutto sono molto spesso in contrasto fra loro e talvolta profondamente estranee al vissuto di chi le prova. Inoltre, non sempre le persone intorno riescono a comprenderle appieno. Tra le emozioni provate possiamo trovare: sensazione di incredulità̀ o vero e proprio shock, paura, solitudine, vuoto, senso di impotenza, senso di colpa, sofferenza, disperazione, senso di incomprensione, senso di inferiorità, irrequietezza, rabbia, collera, invidia, indifferenza, sollievo o liberazione. Il passaggio repentino da un “pensiero di vita” (la nascita di un figlio e la progettazione) a quello di morte (la perdita del figlio e la perdita del progetto di vita) crea una sorta di stato alterato in cui il diniego e la presa di distanza sembrano essere l’unica soluzione. Ma sono proprio questi meccanismi che possono patologizzare il lutto.

  • In che modo il personale sanitario deve comunicare la brutta notizia?

Sicuramente non esiste un modo “giusto” per dirlo. Va ricordato però che subire una perdita in gravidanza o subito dopo il parto è un’esperienza traumatica. Non si è mai preparati e la quotidianità acquisisce un valore diverso sia per le mamme e i papà sia per tutto il sistema familiare che li circonda. Dare una notizia del genere prendendone le distanze, come professione medica impone, diventa disfunzionale per tutti. L’empatia diventa d’obbligo già nel momento in cui viene data l’infausta notizia cercando di utilizzare una comunicazione chiara, breve, ma accogliente. Utilizzare frasi del tipo “non c’è battito” attiva una sorta di dissociazione che non permette più al paziente di entrare in relazione anche solo per comunicare. La presenza di uno psicologo/psicoterapeuta già in quella fase acuta diventa importantissimo sia per il paziente, che viene accolto nel proprio dolore, sia per il professionista che si sente supportato nella comunicazione.

  • È consigliabile ai genitori far vedere il bimbo deceduto al momento del parto?

Purtroppo, troppe volte in questi anni mi è capitato di sentire colleghi psicologi dire alle neomamme “non guardi l’ecografia perché potrebbe affezionarsi al bambino” o peggio “non veda il bambino morto perché ne rimarrebbe traumatizzata”. Io dico sempre che una donna diventa mamma quando vede per la prima volta la linea rosa del test di gravidanza. Da quel momento la futura coppia genitoriale inizia a immaginare come sarà il loro bambino, se sarà maschio o femmina, come sarà il primo incontro, cosa faranno quando piangerà, quanto si divertiranno quando andranno al parco insieme. Iniziano a viverlo mentalmente prima che fisicamente. Per questo motivo vedere il bambino è consigliabile per permettere a quella coppia di renderlo reale e poter elaborare la perdita. Molte mamme che vivono tali lutti mi dicono di essersi sentite dire “non hai mai partorito”. Quelle mamme partoriscono il loro bambino, eseguono il travaglio di parto con tanto di contrazioni e spinte e in qualche modo quella “fatica” deve essere accompagnata da un “bimbo reale” da abbracciare. Vedendolo, tenendolo tra le braccia, vestendolo, coccolandolo, si concede il tempo a quei genitori di poter creare un ricordo, unitamente ai movimenti fetali e ai ricordi creati in gravidanza, su cui basare l’elaborazione del lutto, trovando un senso a tutto il dolore provato. Non bisogna mai obbligare i genitori, ma lasciare la possibilità, come tra l’altro previsto dalle leggi vigenti.

  • La perdita di un bambino durante la gravidanza o subito dopo la nascita rappresenta un’esperienza traumatica di grave entità, come dare un supporto psicologico ai genitori? Esistono dei protocolli per affrontare la situazione e accompagnare i genitori per elaborare le perdite perinatali?

Esistono delle linee guida internazionali create in Australia. In Italia stiamo tentando di crearle ma attualmente esistono solo “buone pratiche”. Il supporto psicologico deve essere integrato con le altre professioni mediche già durante le fasi acute, ovvero nel momento della diagnosi. È quello il momento in cui ci si inizia a sentire “dentro un film” disconnesso con la realtà ed è funzione dello psicologo creare una consapevolezza, nei limiti del possibile, al genitore che sta per affrontare un ricovero, una stimolazione, un travaglio di parto e un parto. Solo creando consapevolezza e scandendo fase per fase, unitamente a medici, anestesisti, ostetrici, tutte le procedure e tutte le possibilità, tutte le indicazioni previste per normativa di legge, diminuiamo i fattori di rischio per lo sviluppo di psicopatologie postume quali depressione, disturbo post traumatico da stress (etc…) o anche una gestione migliore della gravidanza che verrà dopo. Ricordiamo inoltre che, anche se in assenza fisica del bambino, il post partum esiste anche per le mamme che partoriscono un bimbo morto. Quel post partum inevitabilmente avrà un ulteriore peso non solo nel presente, ma anche nel futuro di quella donna, quindi, paradossalmente prendersi cura della perdita significa fare prevenzione per la gravidanza futura.

  • A questo proposito, l’approccio integrato che include un modello assistenziale di base e il sostegno psicologico viene raccomandato e promosso anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che considera quest’aspetto una delle tre pietre miliari nell’ambito dell’iniziativa Every Newborn Action Plan (ENAP)[ http://www.who.int/mediacentre/news/releases/2016/stillbirths-neonatal-deaths/en/]. Ci può spiegare meglio di cosa si tratta?

Quando si parla di approccio integrato si fa riferimento alla tutela fisica e mentale della madre per tutelare la salute fisica e psichica dei neonati e dei bambini. O meglio sottolinea l’importanza di curare ogni donna, ogni neonato e ogni bambino, creando empowerment sociale attraverso prevenzione, diagnosi e cure non solo limitate all’aspetto fisico. Se tuttavia pensiamo allo stillbirth, dobbiamo sottolineare che è esso stesso un fattore di rischio per lo sviluppo di psicopatologie quindi l’OMS invita a implementare sia la sorveglianza, sia la gestione delle cure prenatali sia quelle postnatali. Per intenderci come dice Anthony Costello “Ogni volta che una morte viene rivista, ha il potenziale per raccontare una storia su cosa si sarebbe potuto fare per salvare una madre e il suo bambino”.

  • Come affrontare il periodo successivo al lutto prenatale e magari una nuova gravidanza?

Certamente il post partum per una donna che perde un bimbo in pancia o subito dopo il parto non è semplice. La donna deve lottare con una “svalutazione sociale del suo dolore”. Molto spesso si sentono dire “meglio ora che dopo”, “fatevi un viaggio e non ci pensate”, insomma tutte quelle frasi che incidono le menti e le anime dei neogenitori come una lama rovente. In realtà tornare alla quotidianità, dopo un evento del genere, non è semplice perché si crea una sorta di discrepanza tra ciò che si prova e la realtà che ci circonda. Il periodo successivo è fondamentale per limitare tutte quelle complicazioni che potrebbero portare la mamma a sviluppare sintomi gravi. Senza mai patologizzare forzatamente, bisogna accompagnare e sostenere i genitori nella loro perdita, attraverso dei supporti specifici con personale formato ad hoc, qualora fosse necessario. Ricordiamo che il lutto è una parte della vita quindi naturalmente e fisiologicamente superabile, ma in questi casi ricordiamo che esiste una quota di delegittimizzazione che può bloccare i genitori in quel tempo. Se pensiamo, ognuno di noi ha necessità di riti di passaggio che permettano di salutare il caro perduto e nei casi di morte intrauterina molto spesso tali riti mancano creando un vuoto importante.

  • Visto il recente fatto di cronaca del neonato morto all’ospedale Pertini di Roma, quanto e come è importante il supporto alle mamme nel post partum?

Il fatto di recente cronaca ci dice molto. Ci parla di prevenzione, ci parla di cura, ci parla di freddi protocolli in cui la visione medico legale è la principale fonte. Dobbiamo semplicemente riflettere e comprendere come poter rendere davvero più umana la permanenza in ospedale. Senza voler generalizzare, quando parliamo di umanizzazione delle cure non possiamo limitarci ad avere belle e colorate strutture in cui la relazione passa solo attraverso farmaci e cartelle. L’essere umano che richiede cure fisiche richiede anche una cura emotiva ed è impensabile che ancora nel 2023 gli psicologi, ad esempio in sala parto o nei reparti di ostetricia, non vengano ancora messi in organico, così come altre figure importanti. La salute e il benessere del paziente vanno visti nella loro integrità e forse dovremmo iniziare a lavorare per creare condizioni idonee e maggiormente relazionali perché in ospedale non si ha a che fare con “pazienti”, ma con “persone bisognose di cure”. La multidisciplinarietà diventa fondamentale perché solo attraverso l’integrazione delle varie discipline, in cui ognuno diventa alleato e risorsa dell’altro, si può avere una armoniosa visione dell’integrità dell’essere umano.

L’intervista è stata realizzata da Servizio Comunicazione del CEFPAS.

Aiuto e supporto alle mamme che perdono un figlio in gravidanza, la psicologa: “Rendere più umana la permanenza in ospedale”

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