CEFPAS

Centro per la Formazione Permanente e
l'Aggiornamento del Personale del Servizio Sanitario

“Preoccupante l’impatto della pandemia sulla salute mentale delle persone”: l’intervista agli esperti

In occasione del Convegno “Raccomandazioni di buone pratiche in riabilitazione psicosociale” che si terrà il 5 luglio 2023 presso la Sala Garsia del CEFPAS, verranno presentate le 62 Raccomandazioni di buone pratiche in salute mentale per adulti, elaborate da gruppi di lavoro multidisciplinari della Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale (SIRP). Secondo i dati del Rapporto salute mentale 2021 del Ministero della Salute sull’assistenza psichiatrica in Italia: nel 2021 sono state 778.737 le persone che hanno usufruito dei servizi per la salute mentale: il 6,9% in più rispetto all’anno prima, per un totale di 9,1 milioni di prestazioni erogate. Nel 2019 erano stati 826.465. In crescita anche gli accessi in pronto soccorso che sono stati 479.276 (+13,7%). Stabili i consumi farmaceutici. Tra i pazienti prevalgono le donne (53,6%) e gli over 45 (67,3%). Meno numerosi i pazienti sotto i 25 anni. I servizi territoriali sono 1.245. Ci sono 1.983 strutture residenziali e 742 semi-residenziali. Nelle unità operative psichiatriche pubbliche lavorano 29.785 operatori. Il 17,9% medici (psichiatri e con altra specializzazione), il 6,9% psicologi.  Gli infermieri costituiscono il 42,9% degli operatori, seguiti dagli OTA/OSS (11,6%), dagli educatori professionali e tecnici della riabilitazione psichiatrica pari all’8,6% e dagli assistenti sociali (4,1%).

Le 62 Raccomandazioni, confluite nel 2022 nella pubblicazione di un manuale, riguardano la contestualizzazione al real world della Salute Mentale delle matrici epistemologiche della riabilitazione psicosociale, le strategie e le politiche di inclusione sociale, gli interventi a favore di utenti autori di reato afferenti ai servizi territoriali dopo la chiusura degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e le migliori strategie di integrazione tra farmacoterapie e interventi riabilitativi fondati sull’evidenza clinica (evidence based practices). Le Raccomandazioni sono state prodotte consultando la letteratura scientifica più accreditata e contestualizzate alle realtà operative in cui dovranno essere applicate, ossia al contesto del Dipartimento di Salute Mentale medio italiano. Sono state inoltre riviste e condivise con l’apporto di rappresentanti di società scientifiche e professionali che operano nel campo della salute mentale, nonché da rappresentanti degli utenti e dei familiari.

Il convegno del 5 luglio è rivolto a 100 professionisti tra psichiatri, tecnici della riabilitazione psichiatrica, psicologi, assistenti sociali, sociologi, pedagogisti, educatori, infermieri, operatori socio-sanitari delle strutture pubbliche del SSR (ASP e Aziende Ospedaliere) e del privato sociale e ha come obiettivi formativi quelli di apprendere quali trattamenti psicosociali risultano più appropriati per migliorare il funzionamento nei disturbi mentali gravi e di approfondire le conoscenze su tematiche emergenti come la riabilitazione in pazienti autori di reato o l’integrazione socio-sanitaria. Del convegno e delle tematiche collegate ne parliamo con esperti che interverranno durante l’evento formativo tra cui Pietro Nigro, Presidente SIRP Nazionale, Antonio Francomano, Psichiatra, Psicoterapeuta, Presidente Onorario SIRP Sicilia – Membro Direttivo Nazionale SIRP, Past president SIRP e SIP regione Sicilia, Silvia Merlin, Educatore Professionale, Segretaria SIRP Nazionale e Sofia Lo Duca, Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica, Segretaria SIRP Sicilia, Revisore dei Conti SIRP Nazionale.

Pietro Nigro, Presidente SIRP Nazionale

Intervista a Pietro Nigro

  • La Legge Gelli-Bianco (L.24/2017) prevede che le società scientifiche possano proporre Raccomandazioni di buone pratiche e linee guida relative ai temi della responsabilità professionale, voi come Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale (SIRP) le avete quindi elaborate attraverso gruppi di lavoro multidisciplinari.  Ci può delineare quali sono queste Raccomandazioni e quali sono le matrici di ispirazione e gli obiettivi di queste Raccomandazioni?

Il progetto SIRP per la elaborazione di Raccomandazioni di buone pratiche in riabilitazione psicosociale si inserisce nella visione culturale che, negli ultimi decenni, ha pensato la salute mentale in un intreccio di istanze etiche, valutazione e progettazione di esperienze con richiamo alle evidenze. Nel 2017, la Legge Gelli- Bianco ha sollecitato nel gruppo SIRP la progettazione di un lavoro che giungesse a proporre delle Raccomandazioni di buone pratiche, derivate dalle più aggiornate evidenze scientifiche e utilizzabili/sostenibili nei servizi di salute mentale “medi” italiani.

La prima parte del lavoro è consistita nel produrre dei documenti da discutere in una Consensus Conference, al fine di giungere alla condivisione di Raccomandazioni di buone pratiche cliniche da applicare nella riabilitazione psicosociale (RPS) di pazienti psichiatrici adulti, con specifico riferimento a cinque aree tematiche:

• Area 1: Definizione della RPS e progetto riabilitativo

• Area 2: Attività ed interventi in RPS

• Area 3: RPS dei pazienti psichiatrici autori di reato

• Area 4: Partecipazione ed integrazione socio- sanitaria

• Area 5: Psicofarmaci e RPS

Le aree trattate spaziano dal tentare di definire il campo della riabilitazione psicosociale: quando iniziarla, per quanto tempo, rivolta a quali soggetti. Un ampio e approfondito capitolo affronta la descrizione dei diversi interventi psicosociali, la loro efficacia e indicazione anche negli interventi integrati. Vi sono poi gli aspetti emergenti legati alla riabilitazione psicosociale negli autori di reato, prepotentemente di attualità a seguito della legge 81/14. Altra area trattata è quella dell’integrazione socio-sanitaria, tema ricchissimo, non solo in letteratura internazionale, ma specialmente nelle pratiche della salute mentale in Italia (si pensi al budget di salute, all’abitare assistito).

  • Secondo i dati del Conto Annuale condivisi dal Ministero della Salute nel Rapporto Annuale sulla Salute mentale in media solo una persona su quattro ricoverata in un reparto di salute mentale dopo un evento acuto ha ricevuto una visita psichiatrica entro le due settimane dalla presa in carico. Cosa ne pensa e cosa può dirci sulla carenza di figure professionali nell’ambito della riabilitazione psichiatrica?

Nel documento relativo ai percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA) per pazienti gravi, elaborato dalla Conferenza Unificata nel 2014, l’indicatore della visita psichiatrica presso un centro di salute mentale, entro le due settimane dalla dimissione dagli SPDC, è proposto per valutare la robustezza della presa in carico. I dati degli ultimi anni evidenziano valori piuttosto bassi. La carenza di personale (psichiatri, psicologi, Terp, infermieri) spiega in buona parte il fenomeno. Vi è da aggiungere la necessità di pensare modelli di cura in grado di progettare/implementare gli interventi secondo percorsi terapeutico assistenziali che coniughino i bisogni di cura dei pazienti con la capacità dei servizi di essere accessibili e in grado di erogare interventi appropriati.

Antonio Francomano, Psichiatra, Psicoterapeuta, Presidente Onorario SIRP Sicilia

Intervista a Antonio Francomano

  • In quanto responsabile scientifico del convegno può spiegarci in modo più ampio quali sono l’obiettivo generale e quelli specifici di questo evento formativo e quali i risultati attesi in termini di conoscenze, competenze e contesti di applicazione sanitaria e clinica?

La Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) ha dato la possibilità alle società scientifiche che abbiano comprovata la vasta rappresentatività in ambito specialistico di proporre Raccomandazioni di buone pratiche e/o linee guida relative ai temi della responsabilità professionale. Nel contesto della salute mentale la Società Italiana di Riabilitazione Psicosociale, che vuole rappresentare tutte le professionalità socio-sanitarie afferenti ai vari setting di cura del disagio psichico, ha promosso e realizzato un progetto riguardante la proposizione in sede ministeriale di 62 Raccomandazioni di buone pratiche. È stato un percorso di circa un quinquennio in cui, nonostante i limiti posti dalla contestuale pandemia, i gruppi di lavoro, che hanno costituito un vero e proprio network di ricerca in sede nazionale, hanno operato svolgendo il proprio compito in relazione alle tematiche poste riguardanti l’aggiornamento dei riferimenti epistemologici della Riabilitazione Psicosociale, le strategie e le politiche di inclusione sociale, gli interventi a favore di utenti autori di reato afferenti ai servizi territoriali dopo la chiusura degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e le migliori strategie di integrazione tra farmacoterapie e interventi riabilitativi fondati sull’evidenza clinica (evidence based practices).

Il lavoro svolto, che è stato avvalorato da un’importante Consensus Conference, realizzatasi nel novembre 2021 a Bari, con la partecipazione attiva di tutti gli ordini professionali coinvolti, le principali società scientifiche del settore, l’associazionismo organizzato dei familiari oltre che segnare l’epilogo di un importante lavoro di ricerca metanalitica, si prefigge di essere un “punto di partenza“ per un aggiornamento constante nel tempo, orientato a fornire a tutti gli stakeholders strumenti adeguati e aggiornati per offrire ai pazienti che ci vengono affidati il meglio di pratiche e di procedure.

Il convegno del 5 luglio vuole costituire, peraltro, una prima tappa di un percorso, che, con l’auspicabile sostegno del CEFPAS, possa portare ad una serie di seminari centrati sui singoli temi delle 5 aree di studio trattate nelle Raccomandazioni. Nei seminari la finalità sarà quella di raccogliere anche stimoli, feedback e favorire simulazioni per l’applicazione real world delle proposte avanzate, migliorandone così la feasibility rendendo più pratica la consultazione della manualistica e nel contempo gettare le basi per un’edizione più aggiornata delle Raccomandazioni stesse e/ far elevare le stesse a rango di “Linee Guida”.

Le ricadute del convegno di luglio e delle successive auspicabili iniziative di disseminazione dell’informazione dovrebbero quindi consistere non solo nell’incremento dell’empowerment dei professionisti della salute mentale in campo riabilitativo, ma anche costituire un utile ed aggiornato orientamento sulle pratiche evidence based ed al tempo stesso costituire per la committenza pubblica degli interventi un aggiornato e significativo schema di riferimento per l’accreditamento di strutture e di funzioni riabilitative.

Nella terza decade di questo millennio gli interventi riabilitativi non possono essere lasciati all’improvvisazione o risentire dell’autoreferenzialità degli operatori; essi richiedono, invero, una costante supervisione critica, ed un’efficace validazione scientifica dei compiti attribuiti ad équipe e strutture accreditate ed in tal senso finalmente realizzando quanto qualche decennio fa il prof. Benedetto Saraceno, responsabile per la salute mentale dell’Oms proponeva nel suo testo guida “Al di là dell’intrattenimento”.

  • Come ha inciso la pandemia sulla situazione della Salute Mentale in adulti e giovani?

La pandemia da Covid-19 è stata anche una pandemia “emozionale” in cui isolamento sociale e solitudine hanno inciso sia su soggetti vulnerabili e predisposti sia su quelli non vulnerabili. È stata una circostanza in cui fattori socio-ambientali: povertà, stigma, stress, isolamento, inquinamento, cattiva alimentazione, hanno contribuito ad alimentare disagio sociale ed aggressività. Come descritto dall’OMS si è trattata di una vera e propria emergenza della salute mentale da Covid-19, in cui è aumentata in maniera esponenziale la sintomatologia psichiatrica nella popolazione generale. Numerosi studi condotti sulla popolazione italiana durante la pandemia hanno mostrato un notevole aumento della sintomatologia depressiva e ansiosa in particolare. Dall’altro canto non bisogna trascurare che i pazienti con depressione e disturbi mentali sono fra i più fragili anche somaticamente (per le inferenze, ad esempio, psico-endocrino-immunologiche) e quando incontrano il coronavirus hanno un maggior rischio di ammalarsi in modo grave e di finire in terapia intensiva. A metterlo in evidenza due studi di recente pubblicati su Jama Psychiatry e su Lancet Psychiatry D’altro canto l’epoca della pandemia è stata l’epoca dell’incertezza. L’incapacità di controllare l’incertezza ci spinge abitualmente verso plasticità e apprendimento, verso la ricerca a volta di cercare ed esplorare ambienti più stabili. Ma per la nostra cognitività, la volatilità, l’instabilità, dei dati, il rapidissimo cambiare dei riferimenti, la mancanza di certezze, quello che possiamo chiamare volatilità cognitiva rende difficile ed oneroso ogni adattamento perché la volatilità è molto più complessa e non riusciamo a imparare sul nostro bersaglio a parte il fatto che continua a cambiare. In queste condizioni la nostra mente è a disagio, sarebbe simile a quella che si presenta agli occhi delle persone affette da disturbi dello spettro autistico che sovrastimerebbero l’importanza di piccole deviazioni sensoriali dai modelli attesi e pensano che il mondo sia volatile e imprevedibile. L’impatto della pandemia sulla salute mentale delle persone è stato estremamente preoccupante. Quello dei suicidi, poi, rappresenta la punta di un iceberg di un fenomeno ancora più complesso, in cui sono proprio i disturbi psicopatologici – specie quelli connessi al PTSD – a rischiare un incremento in una fase emergenziale e post-emergenziale come quella che abbiamo vissuto e stiamo vivendo. Durante il lockdown si è verificata una riduzione complessiva del 31,9% di accessi al pronto soccorso rispetto agli stessi mesi del 2019. In diverse regioni del mondo si è potuto osservare una forte riduzione del comportamento suicidario durante i primi mesi del lockdown, seguito da un aumento nei mesi successivi e una riduzione dell’8,5% nel numero di pazienti che si sono presentati con autolesionismo dall’1° marzo al 31 maggio 2020, rispetto al 2019. L’incremento di accessi in pronto soccorso e di ricoveri per tentativi di suicidio ha avuto un picco nel momento in cui le misure restrittive sono state rimosse. Questo fenomeno è il risultato di un peggioramento dello stato di salute mentale durante il lockdown in individui con alterate condizioni psichiche preesistenti, a causa del ridotto accesso ai servizi di salute mentale e della perdita di contatti sociali. Aspetto particolare ha assunto il Covid-19 per i pazienti ospiti in strutture riabilitative cui è stato impedito il contatto con l’esterno e con i familiari. Veniva così ad inibirsi il fisiologico inter-play tra dentro e fuori che è la premessa per ogni agire riabilitativo che miri all’inclusione sociale. Occorre ricordare che in questo frangente si è data molta propulsione alla telemedicina e in particolare ad interventi di riabilitazione cognitivi tecno-mediati: gli interessanti risultati sono attestati da una letteratura ancora chiaramente non molto rilevante, ma da oggi in poi sicuramente implementabile. Mi piace in questo contesto a tal proposito ricordare un’esperienza promossa dagli operatori della CTA di Calatafimi-Segesta (TP) “Sentiero per la Vita”, con il supporto di SIRP Sicilia. Nel 2020 è stato indetto il concorso “Menti in corto” aperto alla partecipazione di strutture e setting riabilitativi finalizzato alla produzione di un documentario sul tema “2020, anno bisesto, anno funesto?”. Hanno preso parte 62 strutture riabilitative, per metà siciliane e per meta di altre regioni. Durante il 2020 e 2021 le strutture hanno costituito un network di circa 2.500 tra operatori e utenti che, tramite la rete, hanno dialogato, si sono conosciuti, hanno costruito schede di valutazione e istituito giurie popolari per la premiazione del documentario ritenuto più valido. E nel novembre del 2021 si è celebrata a Palermo una festa di premiazione con la presenza anche di utenti ed operatori di strutture extraregionali. Il distanziamento sociale cioè ha comunque favorito la creazione di valide strategie partecipative e comunicative finalizzate all’empowerment ed alla recovery delle persone che ci sono state affidate. In questo mese di giugno 2023 scada il termine della iscrizione al secondo concorso “Menti in corto”, dal titolo tra l’altro “Cartoline dal mio territorio”, con la speranza che tale iniziativa riscuota consensi ancora più ampi della precedente.

Silvia Merlin, Educatore Professionale, Segretaria SIRP Nazionale

Intervista a Silvia Merlin

  • Cosa si intende per riabilitazione psicosociale e che ruolo ha il progetto riabilitativo nella gestione dei pazienti psichiatrici?

Come indicato nella prima Raccomandazione, tra quelle prodotte da SIRP, “la Riabilitazione Psico Sociale può essere definita come un corpus teorico/metodologico e una strategia di salute pubblica basata su valori ed esperienze di professionisti, utenti e familiari e sulle migliori evidenze scientifiche disponibili. La RPS si traduce in un insieme sistematico e integrato di interventi diretti alla persona, alla sua interazione con il contesto di vita e direttamente al contesto stesso, orientati alla ri/acquisizione di abilità, di status e ruoli sociali validi (in termini di cittadinanza attiva ovvero consapevole, partecipata e riconosciuta) e alla recovery.” La complessità nel definire la RPS deriva proprio dalla sua necessità di rispondere ad una visione olistica della persona, ben rappresentata nel modello biopsicosociale. Il disturbo mentale impatta sul funzionamento della persona, che arriva a perdere molte abilità (ma quando si parla di ragazzi giovani anche nell’impossibilità di acquisire abilità, proprio in quell’età in cui queste sono fondamentali per definirsi e per costruire la propria identità), come conseguenza disabilitante del disturbo. Ecco che la cura non si può limitare solo alla riduzione dei sintomi, ma vuole supportare la persona a trovare un equilibrio nuovo, essere soddisfatta della propria vita e saper integrare il disturbo come parte di sé tollerabile e non distruttiva. Per questi motivi nella cura dei gravi disturbi mentali non si può lavorare a prescindere dai bisogni dei singoli, dai loro contesti di vita, dalle necessità che presentano, come il diritto ad una casa, all’autonomia, ad un lavoro, e alla miglior cura possibile, come tutti i cittadini. La RPS offre alle persone gli strumenti per poter muoversi in maniera più autonoma possibile in questi ambiti, al fine di facilitare i loro percorsi di recovery. Con questa visione diventa impossibile pensare di lavorare “per” e “su” i nostri pazienti, diviene indispensabile il “con”. Ricordiamo che compito dell’operatore in salute mentale è il supporto alla persona e non il decidere al posto suo, ponendosi come unico esperto. Il progetto allora è lo strumento principale che funge da tavolo di contrattazione, in cui insieme si decide il percorso, quali strumenti è meglio utilizzare, che tipo di intensità di lavoro tenere. Ed essendo estremamente adattabile alla vita delle persone, il progetto è flessibile, si può modificare e arricchire lungo il percorso, permettendo così una vera e propria personalizzazione dell’intervento che metta in sintonia utenti e operatori nel portare avanti il percorso riabilitativo.

  • Quanto e come incide la multidisciplinarietà e la integrazione dei metodi nelle buone partiche in riabilitazione psicosociale?

La RPS risponde in modo integrato, coordinato e continuativo ai bisogni rappresentati nel modello biopsicosociale. Ma per lavorare in una varietà così ampia di ambiti e contesti, è impossibile pensare che una sola figura professionale sia in grado di sostenerne tutto il carico e di dare tutte le risposte. Le funzioni di cura, dalla clinica alla riabilitazione, non sono appannaggio di una sola professione, ma sono trasversali a tutte le figure professionali ed è fondamentale che queste sappiano dialogare tra loro e confrontarsi sui terreni comuni, che sono moltissimi: basti pensare quanto molte delle strategie utilizzate in riabilitazione derivino dalla psicoterapia, oppure come sia necessario per tutti avere un minimo di conoscenza comune sulla psicopatologia e la farmacoterapia, o come oggi sia fondamentale saper parlare il linguaggio dell’assistenza sociale. Questo si fa ancora più sentire nelle aree di confine con altri disturbi (per es. doppia diagnosi con dipendenze o disabilità) o in periodi particolari della vita (per es. esordi e adolescenza, o anziani). Poi certo, la terapia farmacologica continuerà a prescriverla il medico e la psicoterapia la farà lo psicoterapeuta.  Ma la vera sfida per noi professionisti non è quella di sapersi differenziare nelle proprie specificità, ma il cercare continuamente di integrarsi in un modo sistemico e fluido tale da offrire risposte coerenti alle persone. Insomma, un intervento psicoeducativo che veda la copresenza di un medico e un TeRP (tecnico della riabilitazione psichiatrica) e uno psicologo, che collaborano, anche sconfinando nell’altrui professione, ma che sappiano portare in maniera competente i contenuti specifici della propria, risulta un intervento estremamente efficace e coinvolgente, proprio per la sua capacità di dare coerenza e completezza agli argomenti trattati. Ancora più importante però riduce la frammentazione che spesso i nostri pazienti avvertono nei Servizi di salute mentale e contribuisce a dare una dimensione integrata e di speranza, a partire proprio dal fatto che il disturbo viene attaccato su più fronti e con strategie che si completano.

Sofia Lo Duca, Tecnico della Riabilitazione Psichiatrica, Segretaria SIRP Sicilia

Intervista a Sofia Lo Duca

  • Quali sono gli ambiti emergenti nella riabilitazione psichiatrica e le prospettive di sviluppo futuro anche alla luce delle 62 Raccomandazioni SIRP?

Sulla base di quanto posto in luce dalle Raccomandazioni SIRP, in campo riabilitativo ci si dovrà occupare in futuro di questioni emergenti quali gli interventi in favore di persone con Disturbo di Personalità (in particolare con disturbo borderline), i percorsi terapeutico-riabilitativi efficaci in psichiatria forense per i soggetti autori di reato o, ancora, l’erogazione di prestazioni di riabilitazione psicosociale in teleriabilitazione, nei casi in cui si voglia migliorare l’accessibilità ai servizi o laddove questa risulti limitata. Inoltre, tra le prospettive future aperte dalle Raccomandazioni di Buone Pratiche possiamo certamente annoverare la promozione di ulteriori studi con metodologia appropriata sulle cosiddette aree grigie della ricerca, in special modo per quegli interventi riabilitativi non ancora evidence based (come ad es. le terapie espressive).

  • Quanto e in che modo è importante la presenza all’interno delle Case di Comunità ossia le nascenti strutture che saranno l’unità di base dell’assistenza sanitaria territoriale secondo il DM77, di servizi e team di professionisti nell’ambito della riabilitazione psichiatrica?

Le Case di Comunità, anche dette Case della Salute, rappresenteranno in Italia l’esempio più tangibile di sviluppo di sistemi socio-sanitari integrati, in linea con quanto già avviene nel contesto europeo. All’interno della Casa della Salute devono trovare collocazione i servizi del territorio che erogano prestazioni socio-sanitarie e socio-assistenziali, in un’ottica di continuità delle cure e dei livelli di assistenza.

Tecnici della riabilitazione psichiatrica, psicologi, assistenti sociali e altre figure del comparto potrebbero contribuire alla funzione di “filtro” e di facilitazione dell’assistenza secondaria propria delle Case della Salute, ma anche giocare un ruolo nel collegamento tra équipe curanti (operatori dei Dipartimenti di Salute Mentale e Medici di Medicina Generale, infermieri e altri professionisti delle Case di Comunità) per il management dei chronic diseases.

Un’ulteriore prospettiva potrebbe essere quella di allocare i servizi semiresidenziali dipartimentali presso i locali delle Case di Comunità, per rispondere ad una condizione di sofferenza che affligge i centri diurni da diversi anni e da più parti evidenziata.

L’intervista è stata realizzata dal Servizio Comunicazione del CEFPAS.

“Preoccupante l’impatto della pandemia sulla salute mentale delle persone”: l’intervista agli esperti

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