
Secondo il dossier dell’Organizzazione mondiale della sanità, “WHO updates fact sheet on Blindness and Visual impairment” (ottobre 2018), circa un miliardo di persone nel mondo ha una disabilità visiva prevenibile o che non è stata presa in carico, mentre sarebbero 88,4 milioni coloro che presentano un errore di rifrazione non corretto e 826 milioni le persone con un deficit della vista da vicino, causato da presbiopia non corretta.
Il rapporto ISTAT “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione europea” sottolinea che nel nostro Paese due persone su cento, dai 15 anni in su, soffrono di gravi limitazioni sul piano visivo, percentuale che sale al 5,4% tra chi ha più di 65 anni e all’8,6% per chi ha almeno 75 anni. Inoltre si stima che la percentuale di italiani che fanno un uso prolungato di dispositivi elettronici si aggira tra il 55 e l’81%, e negli ultimi due anni di pandemia tale utilizzo si è ampliato ulteriormente, registrando un aumento proporzionale delle difficoltà visive.
La prima scuola universitaria rivolta alla formazione degli ortottisti è stata istituita in Italia nel 1955. L’ortottista è un professionista sanitario, laureato in Ortottica e assistenza oftalmologica che contribuisce alla qualità della percezione visiva dall’età neonatale a quella adulta. La visita ortottica mira a diagnosticare o escludere la presenza di anomalie a carico dell’apparato neuromuscolare dell’occhio e le alterazioni che da questi derivano. Approfondiamo l’argomento con Lucia Intruglio, Presidente dell’albo nazionale Ortottisti della FNO TSRM e PSTRP (Federazione nazionale Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione).
- Perché è importante la figura dell’ortottista?
L’ortottista è la professione sanitaria che si occupa di visione: dovremmo chiederci quante cose potremmo fare senza vedere. La mancanza della: visione centrale impedisce la lettura e il riconoscimento e identificazione di volti e persone; visione periferica compromette l’orientamento nello spazio. I danni visivi sono presenti per esempio:
– in tutti i casi di stroke (sopravvissuti e non) pari al 58%; l’80% dei sopravvissuti ha problemi visivi;
– nei traumi cranici del 90% tra danni maggiori e minori;
– nelle malattie demielinizzanti, endocrine, oncologiche, infettive, ecc…
I pazienti con degenerazione maculare (malattia legata all’invecchiamento che colpisce la macula, ossia la porzione più centrale della retina, ndr), pari al 16-17% della popolazione dai 48 anni in poi, hanno un aumentato rischio di cadute accidentali del 32,5% con conseguente frattura femorale, ospedalizzazione, e negli anziani, depressione (il tasso di mortalità oscilla inoltre, intorno al 20% entro i primi 8-9 mesi dall’intervento). È importante non solo rimetterli in piedi, ma evitare che tornino a cadere lavorando perché possano conservare l’autonomia personale rispetto ad un ricovero in struttura. È una professione importante per i risultati attesi dalle persone con disabilità visive.
L’ortottista ha un ampio ventaglio di attività:
– dall’assistenza alla valutazione e riabilitazione utilizzando tutti gli esami di oculistica;
– dall’informazione alla prevenzione; ogni persona deve sapere che un singolo segno, dalla confusione alla distorsione dell’immagine, deve essere comunicato, che può risolversi con una correzione ottica e/o con un trattamento ortottico ma potrebbe anche diventare con il tempo un elemento invalidante; possono essere attuate campagne di screening ortottici dall’età neonatale a quella adulta.
Ortottica significa “occhio dritto” ed una buona visione binoculare permette un campo visivo più ampio e la percezione della tridimensionalità, importanti per muoversi e orientarsi nello spazio.
- A livello di alfabetizzazione sanitaria qual è l’impegno degli ortottisti?
Negli anni sono stati realizzati opuscoli, locandine, giornate informative, presenza negli stand di manifestazioni per la salute, per esempio anche al Salus Festival del CEFPAS. C’è chi è presente nei corsi pre-parto per insegnare l’importanza del corretto sviluppo visivo ai fini dell’apprendimento e della crescita del bambino; ci sono screening istituzionalizzati ma non equamente diffusi sul territorio; per esempio l’ASP di Ragusa è oggi leader nello screening ortottico sia neonatale in tutti i punti nascita (e non solo con il riflesso rosso previsto dai LEA), sia prescolare e scolare per la prevenzione di ambliopia, strabismi e difetti rifrattivi. Il contributo lo diamo anche dicendo chiaramente chi opera nel mondo oftalmologico come: il medico specialista in oftalmologia e l’ortottista assistente di oftalmologia nelle professioni sanitarie; l’ottico nell’arte ausiliaria delle professioni sanitarie.
- In che modo si può potenziare l’efficacia degli interventi ortottici attraverso l’evidence based?
Per arrivare alle “evidenze” dobbiamo osservare, ascoltare il paziente, annotare dati misurabili e particolarità, provare nuove strade quando una soluzione non esiste. Negli anni abbiamo sempre sollecitato studenti di ortottica e professionisti a promuovere il pensiero critico, il lavoro scientifico, l’aggiornamento e l’approfondimento attraverso banche dati consolidate. Abbiamo suggerito di annotare ogni dettaglio: i casi particolari che questi incontrano vanno messi in rete affinché la pratica ortottica sia condivisa dalla comunità di riferimento e diventi più efficace ed utile.
Il recente corso al CEFPAS (“La Valutazione Ortottica verso la ricerca” che si è svolto dal 26 al 28 ottobre, ndr) prevedeva un’intera giornata sulla metodologia della ricerca: ed è anche per questo che la digitalizzazione del sistema sanitario, il recupero dei dati, l’accesso al fascicolo elettronico da parte di tutti i professionisti che hanno in carico il paziente rappresentano delle buone pratiche di condivisione dei percorsi. È stato sorprendente sentirsi dire proprio al CEFPAS che pubblicazioni apparentemente fatte bene non hanno rilevanza ed altre metodologicamente mal costruite presentavano invece una traccia di lavoro di interesse e da approfondire.
- Come può giovare la collaborazione tra varie professionalità nella cura di un paziente?
Si parla tanto di interdisciplinarietà, multiprofessionalità e anche transdisciplinarietà: il punto è sempre “prendere in carico” una persona nella sua globalità e non il pezzettino o l’organo. Ogni piccola parte rappresenta l’unicum della persona e la visione aiuta in tante funzioni, come già detto: dai disturbi specifici di apprendimento, che possono essere ridotti valutando al meglio eventuali difetti visivi ai molti altri trattamenti abbandonati perché non si tiene in sufficiente conto della quantità e qualità della vista del paziente. Abbiamo bisogno di confronto, dati misurabili e messi in rete per poter offrire al paziente la migliore soluzione per un personalizzato percorso riabilitativo e dobbiamo farlo INSIEME.
- Come e quando è il caso di utilizzare la telemedicina e applicare l’intelligenza artificiale nel vostro campo?
Si ricorre alla telemedicina ogni qual volta il paziente è distante e il nostro territorio è tra i più difficili del Paese; nei controlli, nell’assistenza e nell’effettuare esami, come la fotografia del fondo, nello screening della retinopatia diabetica, facendola refertare dopo nella struttura di riferimento.
Gli Ortottisti sono distribuiti in maniera non uniforme: ogni 100.000 abitanti si passa dai 1,4 della Sardegna ai 10 dell’Abruzzo, ed abbiamo subìto una riduzione anche in termini di sedi di laurea scendendo da 26 a 18 con regioni totalmente scoperte. Oggi, a maggior ragione con le difficoltà economiche delle famiglie, a differenza di ieri ci si sposta più difficilmente di regione per frequentare un corso di laurea.
In merito all’intelligenza artificiale abbiamo fortunatamente diversi colleghi che stanno per completare o hanno completato dottorati di ricerca. Qui al CEFPAS abbiamo visto le tante applicazioni della onlus vEyes (riconoscimento di colori, lettura di testi, rilevazione del riflesso rosso, ecc.), tra l’altro concesse gratuitamente. L’intelligenza artificiale è da attenzionare ed implementare, ma non sostituisce il rapporto fra operatore-paziente.
- In che termini il PNRR è per la vostra professione un’opportunità?
È un’opportunità perché ci indica due strade: la prima è una maggiore assistenza territoriale attraverso reti di prossimità, case di comunità, telemedicina, ma soprattutto la “casa” come primo luogo di cura (era un nostro progetto dal 2007); la seconda è innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale: anche noi Ortottisti per essere più efficaci e contribuire alle scelte strategiche abbiamo bisogno di attrezzature all’avanguardia e facilmente “sanificabili”. Abbiamo bisogno di investimenti nella ricerca aperta a tutte le professioni.
- Come si può contrastare l’abusivismo professionale considerata la carenza di professionisti sanitari specialisti in ortottica in Italia?
Grazie davvero per la domanda. Anni fa, per le differenti figure che si occupavano di riabilitazione visiva ed esecuzione di esami oculistici ci siamo detti ironicamente che la nostra doveva essere la professione più ambita.
Cosa abbiamo fatto e facciamo:
– Informare le persone: chi è e cosa fa l’ortottista;
– Vigilare su Enti, Organizzazioni, Associazioni e le altre professioni dal mondo sanitario a quello del sociale e della scuola;
– Collaborare con i NAS, che abbiamo incontrato e a cui abbiamo inviato una memoria contenente tutte le fattispecie di qualifiche o titoli (anche stranieri) che abusano della nostra professione.
Noi stiamo facendo la nostra parte: certo è, che tutte le professioni sanitarie devono avere lo stesso obiettivo nel rispetto delle norme deontologiche e della legislazione vigente.
- L’ortottista è una professione sanitaria complessa, pensa che la dotazione organica in Italia sia inadeguata?
No, scontiamo il blocco delle assunzioni di anni e la scarsa conoscenza delle professioni sanitarie, la nostra in particolar modo. Ci chiamano assistenti, tecnici, tutto fuorché “Ortottisti”, termine riconosciuto in tutto il mondo. Degli iscritti agli Ordini solo il 37% opera in strutture del SSN (dal 2019 al 2020 abbiamo avuto un aumento del 5%) o in strutture private accreditate (dal 2019 al 2020 l’aumento è del 6,3%). Il 63% opera come libero professionista e con più committenti; anche il pubblico e le strutture accreditate oggi preferiscono accordi libero professionali invece di assumere. Dal ‘96 rispondiamo ad un processo impegnativo che è quello del fabbisogno di operatori da formare; a questo processo oggi partecipano le professioni con Cda, Ordini e Federazioni, le Regioni, il Ministero della Salute e infine il Ministero dell’Università che mette a disposizione il potenziale degli atenei. Quest’anno è forse il primo in cui i nostri dati sono coincidenti: 301 ortottisti da formare per noi professione e il Ministero della Salute e 309 per il Ministero dell’Università. Numeri ancora non sufficienti a coprire tutti gli ambiti: in Giappone con la stessa popolazione gli Ortottisti sono cinque volte i nostri.
Il punto quale è oggi? Le professioni sanitarie sono sempre meno appetibili, soprattutto nel sistema sanitario pubblico dove a fronte di un rapporto di esclusività si mantengono prerogative gerarchiche vetuste, non c’è possibilità di carriera e soprattutto anche dal punto di vista remunerativo risulta più appagante, come dicevo, lavorare nel privato. Da dipendente pubblica la soddisfazione mi viene data dai pazienti: sentirsi dire “mi ha ridato la vita” da un paziente che conviveva con diplopia da tre anni è stato più appagante di un lauto stipendio.
- Cosa fate come organo di rappresentanza per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle difficoltà visive?
La prima Commissione di albo nazionale esiste da ottobre 2020 e in questi due anni abbiamo realizzato: sei progetti di screening ortottici dall’età neonatale agli anziani, diffuse anche alle Associazioni di ortottica straniere; segnalazioni di abusi; comunicati stampa ed interviste; informative per la prevenzione del glaucoma (ladro silenzioso della vista) e della maculopatia (perdita della visione centrale), anche in inglese, arabo e cinese; un video che Federazione, Ordini, AIOrAO ATS e ogni collega ha diffuso su siti, social e anche televisioni; una brochure che parla dei singoli sintomi di allarme; partecipazioni a manifestazioni della salute promosse dalla Federazione (Exposanità di Bologna, Forum sistema salute di Firenze); celebrazione della giornata mondiale di ortottica (primo lunedì di giugno) e della giornata mondiale della vista (secondo giovedì di ottobre); partecipazione ad eventi divulgativi, anche con le Associazioni di utenti; formazione delle Commissioni di albo territoriali, primo tassello per il neolaureato e l’utenza.
- Chi lavora al computer può essere colpito dalla sindrome da affaticamento visivo, in che modo l’ortottista partecipa alla prevenzione e cura dell’astenopia?
L’ortottista partecipa con:
– lo screening ortottico per i videoterminalisti comprensivo di anamnesi, misurazione lenti in uso (lontano, vicino e media distanza ed eventuali LAC), esame della rifrazione (lontano, vicino, monoculare, binoculare, con e senza correzione), esame della motilità oculare (vicino, lontano e nelle nove posizioni di sguardo), punto prossimo di convergenza, punto prossimo di accomodazione, senso stereoscopico, valutazione delle forie/tropie (cover test), ampiezze fusionali, valutazione del senso cromatico in collaborazione con il medico competente;
– training ortottico se ci sono difficoltà per la quantità e qualità della visione binoculare;
– prevenzione primaria: la sindrome da astenopia, da uso dei videoterminali, riguarda oggi solo i lavoratori che il D.lgs. 81 definisce tali o lo siamo un po’ tutte/i?
In questi anni di pandemia ne abbiamo fatto un uso improprio e inoltre la dipendenza da cellulare e dai social come unico mezzo di relazione ha fatto il resto. Non tocco i disturbi psicologici, di apprendimento e tanto meno le cattive posture, ma dal punto di vista visivo, affaticamento, fotofobia, lacrimazione, occhi rossi, confusione e diplopia non sono solo segno di difetto rifrattivo non corretto e/o di una cattiva visione binoculare. Il consiglio generale è un uso dei device elettronici misurato, la giusta distanza, accertarsi che la correzione ottica sia sempre la migliore possibile e valutare lo stato di salute della visione binoculare, che ci permette di guardare e vedere contemporaneamente con entrambi gli occhi.
Concludendo, allontanarsi ogni tanto da videoterminali e televisione non può che far bene alla salute visiva, oltre che a quella mentale.
L’intervista è stata realizzata dal Servizio Comunicazione del CEFPAS.